“THE DUKE OF BURGUNDY” DI PETER STRICKLAND

Il film di Peter Strickland The Duke of Burgundy è l’unica opera terza in concorso al TFF32.

Il tempo e il luogo dell’azione sono imprecisati. Siamo in una curiosa comunità interamente femminile che gravita attorno a un istituto di entomologia. Le donne, vestite secondo la moda anni ’60 e ’70, tengono letture scientifiche, si aggirano con aria assorta in bicicletta e vivono in vecchie ville gotiche ricoperte d’edera.

Le due protagoniste intrattengono un apparente rapporto serva-padrona. Evelyn (D’Anna) è la timida e ubbidiente domestica dell’austera Cynthia (Sidse Babett Kundsen). Tiene lo sguardo basso, è sottomessa, ed è pronta a subire qualsiasi punizione inflittale dalla sua datrice di lavoro.

Prestissimo ci accorgiamo dell’inganno: tutta questa routine è un gioco di ruoli orchestrato da Evelyn stessa, vera direttrice di quello che sembra il cuore pulsante della loro relazione. Le istruzioni che affida a Cynthia ogni mattina sono estremamente dettagliate. Tutto è controllato: il tempo che la donna dovrà attendere prima di aprire la porta per far entrare la “domestica”, le battute e il tono della voce, i vestiti e le punizioni.

Sidse Babett Knudsen
Sidse Babett Knudsen

Non sappiamo nient’altro delle due protagoniste. Così come l’ambigua ambientazione, la relazione di Evelyn e Cynthia rimane imprecisata, sospesa in una sorta di eterno ritorno. Ma la routine dei giochi presto comincia ad annoiare l’organizzatrice. Sembra che farsi chiudere in una cassapanca legata mani e piedi, essere punita nel bagno di casa in modi inenarrabili (dirò solo che Cynthia è costretta a bere parecchi bicchieri d’acqua al giorno), non sia più sufficiente a riaccendere la scintilla. Soprattutto quando la finta padrona smette di recitare con brio le sue solite cinque battute e manca di stupirla, lamentandosi della difficoltà di sorprendere con gesti pianificati su un pezzo di carta.

Il film è piuttosto oscuro. Quasi interamente ambientato nella villa vittoriana delle donne, trasmette un senso di opprimente chiusura, come se la casa tenesse prigioniere le protagoniste. Sembra quasi di poter sentire l’odore dolciastro e stantio della vecchia abitazione, emanato dalle pareti ricoperte di tappezzeria. Forse perché nei titoli di testa compare un improbabile addetto ai “profumi”, oltre che alle inevitabili “costumi e lingerie”. E come dimenticare il “consulente per il gabinetto umano”? Misterioso.

Gli unici momenti che rompono il ciclo interminabile dei giochi sono alcune sequenze ambientate nel centro di entomologia, una sorta di società pseudo scientifica di studio-apprezzamento delle farfalle e delle falene, in cui si ascolta con assorta attenzione il sublime suono prodotto dagli insetti.

Il film predilige un assetto narrativo semplice e lineare (per quanto sia concesso dalla ripetitività delle azioni). Non ci sono flashback esplicativi sulla vita delle due donne, non sappiamo nulla riguardo la loro storia d’amore se non quello che vediamo inscenare ogni giorno. C’è una sola eccezione: un’inspiegabile sequenza onirica che si apre e chiude con due carrellate all’interno delle gambe aperte di Cynthia.

Vero e proprio motivo conduttore sono gli insetti, esposti ordinatamente sotto vetro, unico interesse della coppia oltre ai passatempi erotici. Ma sono questi ultimi, ovviamente, a tenere la scena. Evelyn è così appassionata e meticolosa nell’organizzazione da chiedere l’intervento di una consulente esterna con cui discute animatamente riguardo alla possibilità di costruire un letto in cui farsi rinchiudere per la notte. Oppure, allettante alternativa, il summenzionato gabinetto umano.

Nonostante il soggetto, il regista è molto restio a mostrare direttamente rapporti sessuali. Tutto è suggerito, oppure intravisto. Sentiamo rumori provenire da dietro una porta chiusa (quella del bagno, per la famosa punizione che implica numerosi bicchieri d’acqua), scorgiamo le due donne nei riflessi dei numerosissimi specchi che appesantiscono la casa. La nudità stessa è trattata con molta delicatezza. La macchina da presa si concentra sempre sui visi delle due donne per catturare quei piccolissimi mutamenti concessi all’interno di uno schema recitativo fisso e ripetitivo.

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È un film erotico che racconta una relazione tra due donne e le difficoltà che questa comporta: noia, calo di passione, lacrime, tradimenti, pigiami non abbastanza sexy, corsetti troppo stretti, consulenti matrimoniali bricoleurs. Problemi di tutti i giorni.

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