“Girlhood” di Céline Sciamma

Quello che incide su questo racconto di formazione non è lo scorrere del tempo (come accadeva in Boyhood), ma l’etnia della ragazza che influenza la sua vita e l’ambiente che la circonda. Il quartiere dove vive è un vero e proprio ghetto dove vigono regole a sé, dove le madri sono spesso assenti per lavorare e vengono rimpiazzate da fratelli violenti, dove le ragazzine devono prendersi cura delle sorelle ancora più piccole di loro. Ma soprattutto è il regno delle zero opportunità, della rassegnazione a lasciare la scuola perché tanto non serve. Il destino è ineluttabile e tutte finiranno a fare il lavoro delle proprie madri diventando a loro volta madri molto presto.E’ questo che Marieme (o Vic, come la rinomina il capo del gruppetto) non accetta per partito preso, non perché abbia altri piani per il suo futuro. L’inconsapevolezza che tormenta Marieme si riflette sulla struttura del film che si articola in poche e lunghe sequenze dilatando così la percezione del tempo come se la regista volesse trasmettere la noia che affligge queste sfortunate esistenze. Sono ragazze che hanno un che di animalesco per la ferocia con cui si colpiscono in combattimenti esclusivamente al femminile; chi vince è la nuova regina del branco mentre chi esce sconfitto determina la perdita dell’onore di tutta la sua famiglia. Sono ragazze che sembrano scimmie quando esultano dopo una vittoria a football, assomigliano tristemente a bestie per la maniera in cui la loro vita è condizionata dal padrone di turno (che può essere un fratello o un gangster che spaccia droga).

Si può avere il più grande interesse per una storia ai limiti dell’indagine sociologica, certo è che la regista si è messa d’impegno per ridurre al minimo qualsiasi tipo di avvenimento o svolta, per fare di ogni scena solo il ritratto di un momento della vita di quattro ragazze e niente di più.

Girlhood è quindi una serie di tableaux vivants dalle tinte accese ma dimenticabili, la cui pecca più grande è forse quella di aver scelto una protagonista davvero poco espressiva (dote imprescindibile per un film già povero di dialoghi brillanti e di scene madri), anche se è notevole la sua fisicità: è molto alta e quasi mascolinamente robusta, caratteristica che la fa subito distinguere dalle sue coetanee. Chissà se sarà grazie alle sue spalle larghe che Marieme riuscirà laddove le altre non hanno nemmeno osato.

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