“Mountain” di Yaelle Kayam

Il Monte degli Ulivi, per tradizione biblica, è il luogo in cui Dio farà rinascere i morti quando sarà giunta la fine dei secoli. Dirupi e rocce delineano un paesaggio composto da tortuosi e labirintici sentieri costellati da un numero imprecisato di lapidi. Una casa scavata nella roccia separa il mondo dei morti da quello dei vivi. In questo luogo trascendentale e spirituale vive Tzvia (interpretata da Shani Klein), la protagonista del nuovo lavoro di Yaelle Kayam: Mountain.

Presentato nella sezione Orizzonti alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2015, il lungometraggio è la storia di un’ebrea che attende da tempo piccoli cenni d’amore da parte del marito Reuven. Le sue giornate sono tutte uguali, piene di lavori domestici o di passeggiate tra migliaia di loculi. In attesa di un misero gesto d’affetto da parte del marito, la protagonista comincia a vagare di notte attorno alla sua casa e scopre che, quando il sole cala, un gruppo di erotomani si incontra lì vicino per consumare le loro copulazioni. Così Tzvia, nascosta tra i sepolcri, scruta quei corpi fondersi nell’amplesso. Con atteggiamento voyeuristico, l’ebrea riflette su ciò che vede e lo confronta con la propria situazione. Quando i ragazzi si accorgono di essere spiati dalla donna, Tzvia regredisce ad uno stato servile: sentendosi in colpa, ogni notte offre un pasto al gruppo di esibizionisti.

Mountain presenta immagini cariche di simbolismo che fanno pensare a Bataille. Ad esempio, il fatto che Tzvia tocchi con le dita un preservativo usato è un segno evidente di come il desiderio sessuale di Tzvia sia represso; l’immagine del topo morto sul pavimento anticipa il tragico epilogo del film.

In definitiva, il lavoro della Kayam non brilla, e anche se contiene tematiche interessanti, non riesce a svilupparle del tutto. Fluttuano nell’aria come le voglie di Tzvia e chissà se, anche questa volta, l’amore schiaccerà il senso del dovere.

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