“Westworld” (“Il mondo dei robot”) di Michael Crichton

Chi non ha mai desiderato fare un viaggio nel tempo, vivere anche solo per una settimana in un’epoca mitica e lontana nella più completa immedesimazione storica?
Westworld di Michael Crichton dice che il sogno della maggior parte delle persone si può realizzare al modico prezzo di 1000 dollari nel parco di divertimento Delos che è diviso in tre parti: Roman World, Medieval World e Westworld. Ognuno può scegliere in quale ambiente storico trascorrere la propria vacanza; durante tutto il periodo di permanenza ogni desiderio potrà essere realizzato, dal partecipare ad un autentico banchetto medievale all’uccidere un cowboy insolente. Tutto sembra vero, ma solo in apparenza. Gli esseri che abitano questo mondo fittizio, infatti, benché simili agli essere umani, sono macchine, robot antropomorfizzati.

La prima parte del lungometraggio diretto da Michael Crichton del 1973, tradotto in italiano con il titolo Il mondo dei robot, mostra il gioco, l’entusiasmo e la mania di protagonismo di adulti-bambini ansiosi di lasciare per un breve lasso di tempo la vita di tutti giorni per abbandonarsi all’attrattiva di un mondo altro, lontano geograficamente e storicamente. Quasi nessuno si rende conto di far parte di una finzione ridicola, dove ogni cosa è monitorata da tecnici che osservano ventiquattr’ore su ventiquattro l’operato dei clienti e dei robot da una cabina di controllo tappezzata di schermi.
L’alba, il tramonto, l’avvio di una rissa nel saloon, il tradimento della regina sono programmati minuziosamente affinché i clienti possano godere pienamente la “vacanza” che hanno desiderato da sempre.

Solo Peter Martin, un turista americano che insieme al suo amico John Blane ha scelto di soggiornare a Westworld, si pone questioni di ordine vagamente etico. Come si fa a distinguere un robot da un umano, essendo il primo così simile al secondo, nel momento in cui ci si trova costretti a sparare ad un cowboy per un insulto ricevuto? E soprattutto, con quale freddezza si può uccidere qualcuno che assomiglia così tanto ad un proprio simile? I dubbi vengono presto dissolti dalle parole razionali di John. La parola d’ordine è divertimento. Questi mondi perfetti vengono smascherati quando i robot iniziano a prendere coscienza di sé e si ribellano agli esseri umani.

La partecipazione al gioco è volontaria, ma il meccanismo è fuori dal controllo dei “giocatori”: chi partecipa pensa di essere colui che si deve divertire, ma il controllo dall’alto fa sì che lo spettacolo sia soprattutto per chi sta a guardare, per chi comanda. Quando, poi, in mezzo ci sono anche dei robot perfezionati al punto di assumere qualità “umane”, si può star certi che la salvezza sarà per pochi, se non per nessuno.

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