Intervista a Samuele Sestieri e Olmo Amato, registi de “I racconti dell’orso”

Gli studenti del Dams Cinema guardano ai film in concorso al Torino Film Festival con passione, critica ed ammirazione. Romanticamente sperano di essere lì, un giorno, a presentare una loro opera.Samuele Sestieri ha un passato come critico cinematografico e Olmo Amato come regista di cortometraggi; la loro giovane età e il fatto di essere in concorso con la loro opera prima, ci dà fiducia e speranza.

I racconti dell'orso - film

Li abbiamo incontrati ed intervistati per cercare di capire le difficoltà che giovani cineasti possono incontrare nella realizzazione del loro primo lungometraggio.

Che effetto fa vedere che testate nazionali parlano del vostro film?

E’ una bellissima sensazione, comunque vada è una grande vittoria vedere il proprio lavoro che dopo anni è finalmente fruito da un grande pubblico come quello del TFF. Sono stati anni difficili in cui noi tutti abbiamo fatto sacrifici per la realizzazione di questo progetto che finalmente si è concretizzato.

Come nasce questo film?

Questo film nasce inizialmente per gioco. Dopo un viaggio nato un po’ per staccare dalla routine romana e un po’ per la nostra passione di viaggiare, ci siamo trovati nelle fantastiche cornici di Paesi come la Norvegia e la Finlandia. Il nostro intento era quello di creare una storia che inizialmente non aveva una trama ben precisa, ma l’avvicendarsi delle tappe faceva sì che si creasse del materiale utile per la trama. Ci siamo trovati in molti posti per caso ed è stato proprio il caso che ha fatto sì che riprese su riprese la storia prendesse forma. Il nostro era un esperimento, l’importante era creare, poi sarebbe stata la fase di montaggio a tessere una trama.

Però avevate già un’idea dei personaggi. da dove nasce l’espediente di creare personaggi come quello con una tutina rossa e il monaco robot?

Principalmente dal fatto che la nostra troupe era composta solamente da noi due. Non essendo attori abbiamo deciso di mascherarci. Questo ha fatto sì che la storia prendesse una linea fiabesca aprendo illimitati scenari dove appunto l’improvvisazione del viaggio ci consentisse di creare tutto quello che desideravamo. Abbiamo così contestualizzato e decontestualizzato le riprese a nostro piacimento. Ci alternavamo alla macchina da presa e studiavamo attentamente il quadro per girare le scene in cui eravamo presenti entrambi. E’ stata dura fare gli attori e travestirci in quel modo, eravamo scalzi e con poca visibilità, e nessuno poteva darci indicazioni su dove andare. Ci siamo divertiti riuscendo ad acquisire una quantità di materiale che ci ha portato a fare un lungometraggio.

La figura della bambina che sogna era premeditata?

No, erano riprese che fino a pochi mesi dalla fine del montaggio avevamo dimenticato, era materiale di vita vissuta, di diario di bordo. Poi un’illuminazione ha fatto sì che la bambina potesse assumere un ruolo importante nella trama. Il montaggio è stato fondamentale. In futuro ci piacerebbe mostrare questa fiaba ai bambini per vedere cosa ne pensano. I personaggi hanno un linguaggio onomatopeico e primordiale, le loro azioni sono semplici come il cercarsi e giocare e il sottotesto resta libero all’interpretazione.

Se la vostra troupe era composta solamente da voi due, è stato difficile girare il film?

Si, non è stato facile girare questo film. Le difficoltà sono state molte, anche a livello fisico e mentale, i problemi arrivano sul momento e così le soluzioni per risolverli.

Per esempio?

Ad un certo punto abbiamo iniziato a girare con una nebbia bellissima che avvolgeva tutto, solo che inaspettatamente è sparita. Abbiamo quindi soffiato calore sulla lente della nostra reflex, calcolando il risultato ottimale per fingere la nebbia. Ci siamo inventati e reinventati tutto, è stato molto divertente ed è stata una grande lezione sull’arrangiarsi con l’ingegno e con quello che si ha. L’orsacchiotto ad esempio è stato acquistato durante il viaggio e avendone solo uno in molte scene era preziosissimo, non potevamo sbagliare ed era per forza “buona la prima”.

Finite le riprese, come si è concretizzata l’idea di fare un lungometraggio, come è avvenuta la post produzione?

Durante la post produzione sono sorti altri problemi, ma siamo riusciti a risolverli grazie all’aiuto di figure professionali di alto rilievo. Immagini di grande bellezza avevano un audio scadente, per esempio. La sonorizzazione del film è stata realizzata dalla “New Digital”. I suoi rumoristi, sapientemente e alla vecchia maniera, hanno curato la colonna sonora di tutto il film. E’ stata un’occasione bellissima per due appassionati cineasti come noi vedere queste figure al lavoro, mentre con oggetti impensabili davano vita a rumori di grandissima resa cinematografica.

Il cinema costa e spesso è i limiti economici sono difficili da superare. Come avete fatto?

l nostro film è considerato low budget in confronto ad altre produzioni, ma è stato sicuramente un grande sacrificio per le nostre “giovani tasche”. Il crowdfunding ci ha consentito di accelerare la fine del film e lavoretti personali hanno fatto il resto, ma è soprattutto grazie alla solidarietà e alla gentilezza di tutte le figure professionali – con le quali abbiamo la passione comune del fare cinema – che questo progetto si è potuto concretizzare.

Quindi è possibile? Si può fare?

Sì, bisogna crederci. Con impegno e costanza, grazie alle persone che ci hanno supportato e alla dedizione personale che bisogna mettere in questo mestiere, tutto diventa possibile.

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