Gabriele Salvatores e i suoi cinque pezzi facili – Conferenza stampa

La mattinata di conferenze stampa di sabato 19 novembre si conclude con l’intervento di Gabriele Salvatores, guest director della trentaquattresima edizione del TFF. Le domande vertono inevitabilmente sulla scelta dei cinque pezzi facili che hanno dato il nome ad una delle sezioni del festival di quest’anno. Il film prediletto, racconta il regista, è senza dubbio Jules et Jim, emozionante e dolcemente evocativo fin dal titolo e fedele custode del ricordo di un giovane Salvatores che da semplice spettatore diventa un cinéphile consapevole.

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David Hemmings in “Blow Up” (1966) di Michelangelo Antonioni

Il secondo film, Alice’s restaurant, unisce la passione del regista per la musica al suo interesse per un mondo femminile che – da uomo – vede quasi inafferrabile. Blow up è forse il più geniale dei cinque, nella sua strabiliante capacità di teorizzare la potenza dell’immagine, che nel cinema rende reale anche ciò che non lo è. Strawberry statement e If… si configurano come i due film “movimentalisti” e più politicamente impegnati della lista e ancor oggi risultano decisamente moderni.

E se la selezione dei “Pezzi facili” dovesse riguardare i suoi film? Il regista, dimostrando una tendenza all’autocritica che non ci si aspetta da un maestro come lui, ammette di riguardare a fatica i propri film. La scelta, però, sembra piuttosto semplice: Marrakech express lo riporta all’inizio della sua carriera; Turné nasconde riferimenti autobiografici dietro la storia di due amici che si contendono la stessa donna; Educazione siberiana è ancora oggi un prodotto riuscito; infine Denti, che entra nella lista «nonostante non sia piaciuto a nessuno».

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Henri Serre, Oskar Werner e Jeanne Moreau in “Jules et Jim” (1962) di François Truffaut

L’anno scorso a Marienbad, Tree of Life e la filmografia più recente (e a suo parere politicamente più discutibile) di Clint Eastwood sono invece i corrispettivi pezzi “difficili”, che gli hanno sempre creato qualche problema.

Il discorso si sposta poi su argomenti più delicati: la solitudine dei giovani d’oggi è una realtà che non lascia indifferente il regista, il quale condanna l’uso inconsapevole della tecnologia, utile tanto quanto pericolosa.

E a chi gli chiede se in futuro prenderà il posto di Emanuela Martini nella direzione del TFF, pur ribadendo il suo fedele attaccamento al festival torinese, risponde divertito: «Non è obbligatorio fare il direttore di un festival o di una serie TV, si può anche continuare a fare solo film».

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