“Wir sind die Flut” (“We Are the Tide”) di Sebastian Hilger

“L’ immaginazione può trasformare un’idea proveniente da una lezione teorica in una sconvolgente esperienza emotiva. Per questo abbiamo scelto di raccontare We Are the Tide come una moderno lungometraggio di science- fiction“. Queste le parole di Sebastian Hilger, regista del film Wir sind die Flut, in corsa in questo trentaquattresimo Torino Film Festival.

In un paese della Germania costiera il 5 Aprile 1994 la marea si è ritirata e con essa sono spariti tutti i bambini della cittadina lasciando l’intera popolazione in una bolla dove il tempo si è fermato. Quindici anni dopo, questo fenomeno incomprensibile non è stato ancora risolto, ma Micha (Max Mauf), studente e ricercatore di fisica ne è ossessionato, convinto che la spiegazione di tutto risieda nella scienza e nell’applicazione delle sue regole (ed eccezioni). Così, nonostante non riesca a trovare sostegno da parte dell’università nel cercare di risolvere il mistero di quelle che per lui non sono altro che anomalie gravitazionali, decide di seguire il suo cuore, o meglio i suoi calcoli, e di andare fino a Windholm. Ad accompagnarlo in questa impresa, Jana (Lana Cooper), figlia del suo insegnate, con un passato burrascoso alle spalle, che appare molto legata a Micha.

Una volta arrivati i due devono fare i conti con gli abitanti del posto che i quindici anni trascorsi dall’avvenimento hanno indurito, ma anche con loro stessi. A salvarli sarà la loro caparbietà e la disponibilità ad ammettere che non esiste una spiegazione razionale a tutto.

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Un film quello di Hilger che lascia senza fiato, capace di tenere lo spettatore in continua tensione, coadiuvato dall’eccellente scelta della colonna sonora e dall’eleganza delle inquadrature dominate da una luce freddissima. Un thriller che riesce molto bene in questo amalgama di scienza e sguardo introspettivo che scuote tutti, sia dentro che davanti allo schermo. Infatti, come dice Hanna (Gro Swantje Kohlhof), unica ragazzina rimasta, “alcuni sono spaventati dal vuoto” che l’oceano ritirandosi ha spalancato davanti agli occhi, perché quel vuoto vuol dire “guardare dentro sè stessi […] e la paura viene da dentro di loro”.

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