“Amori che non sanno stare al mondo” di Francesca Comencini

Ci sono amori che, pur essendo nati sulla Terra, non sono destinati alla vita in questa dimensione; ci sono amori che per loro stessa intrinseca natura, una volta finiti, continuano a suggerire tutto ciò che avrebbero potuto essere in una realtà parallela e invece non saranno. Ci sono amori che semplicemente non sanno stare al mondo. Questo è uno dei temi centrali, se non il fulcro, del nuovo film di Francesca Comencini, nella sezione “Festa Mobile” di questo TFF. Claudia (Lucia Mascino) si innamora di Flavio (Thomas Trabacchi) nel giro di appena qualche secondo; decide immediatamente, dopo un inizio turbolento, di voler passare con lui il resto della propria vita. Vuole i suoi figli, vuole sposarsi, avrebbe accettato di farlo anche in chiesa “se solo lui glielo avesse chiesto”. Ma l’aggrapparsi a questa convinzione, a questo sogno testardo dell’uomo perfetto e dell’unico amore che dovrebbe durare tutta una vita, non farà altro che rallentare la sua strada verso la “guarigione” e la giusta elaborazione della perdita a relazione finita.

Ce ne sono tanti di film che parlano della fine di un amore, specialmente dal punto di vista di una protagonista femminile, come in questo caso. Ma l’ambizione qui non risiede tanto nel presentare il tema in maniera rivoluzionaria quanto, piuttosto, ragionare sulle vecchie dinamiche apportando quei nuovi spunti di riflessione che sono il frutto dei recenti cambiamenti in campo sociale e culturale, in particolare quelli legati alle rivendicazioni del mondo femminile e della sessualità tutta.

“L’argomento era difficile da trattare, temevamo di ricadere nel banale, invece la struttura del romanzo ci ha suggerito qualcosa che avesse più a che fare con il montaggio: per la prima volta abbiamo fatto l’esperienza dei montatori.” Parlano le sceneggiatrici del film, Laura Paolucci e Francesca Manieri, durante la conferenza stampa del 26 novembre riferendosi alla natura frammentaria del libro di cui la sceneggiatura è un adattamento, scritto dalla stessa regista: “Ho iniziato a prendere come degli appunti, eccessivi, ossessivi, pezzi di monologhi interiori. Abbiamo poi lavorato veramente come un laboratorio apportando ciascuna una sua chiave narrativa.” Del film colpisce, infatti, la volontà di organizzare la narrazione non necessariamente attorno alla linea temporale degli accadimenti, ma alle ragioni emotive della protagonista, ai suoi moti interiori, mano a mano che con il procedere della storia comincia a liberarsi delle proprie fragilità. Fragilità che non sono solo prerogativa femminile, come vuole una certa tradizione narrativa, ma anche della sua controparte maschile.

Merito della pellicola è anche quello di trattare argomenti che dal cinema italiano mainstream sono stati, finora, solamente sfiorati: Il sesso e la nudità – anche integrale – quasi completamente spariti dai nostri schermi; la relazione sentimentale tra due donne, compreso di erotismo, spogliato però da quella malizia, o all’estremo opposto, da quell’idealizzazione che sono per lo più tipiche di uno sguardo maschile sul tema. A questo proposito risulta molto interessante – e coraggioso – l’esperimento di trasformare in un dispositivo di commedia il testo di un saggio filosofico controverso, Testo tossico di Paul Preciado (in precedenza Beatriz Preciado), testo ascrivibile agli studi di genere, ancora fortemente ostracizzati nel nostro paese.

Un’ultima nota di riguardo per la fotografia di Valerio Azzali che, nonostante i brevi tempi di lavorazione per stessa ammissione di Francesca Comencini, si è concentrata su uno studio delicato dei colori che conferiscono al film un aspetto estetico finale patinato e romantico.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *