“TITO E GLI ALIENI” di PAOLA RANDI

“Nello spazio ogni particella ha una voce”: Paola Randi, regista di Tito e gli alieni, sceglie la fantascienza come terreno di sperimentazione da cui partire per raccontare la storia di una famiglia un po’ inusuale. Anita, sedicenne insofferente, e il fratellino Tito, sette anni e già un perfetto “scugnizzo” che sa il fatto suo, dopo la morte di entrambi i genitori vengono affidati allo zio (un intenso Valerio Mastrandrea), ex professore e ora scienziato in crisi rintanato nel deserto del Nevada.

I due fratelli lasciano Napoli per trasferirsi in un’America lontana dal loro immaginario. Il passaggio si rivela brusco fin da subito: qui si dovranno confrontare con l’affetto impacciato dello zio, la mancanza dei genitori e la curiosa presenza extraterrestre che aleggia sul deserto americano.

Lo scenario fantascientifico dell’Area 51 e dintorni (location autentica scelta dalla regista per le riprese), tuttavia, assume fin da subito tratti favolistici e surreali: le inquadrature capovolte e i colori saturati delineano un universo parallelo attraente e per nulla minaccioso. La stessa regista confessa di aver rimaneggiato la fantascienza per farne un antidoto alle paure della vita: “alieno da noi è anche tutto ciò che non c’è più, ciò che abbiamo perso” ha raccontato in conferenza stampa, rivelando che l’ispirazione per l’intera storia arrivò proprio dal padre, malato di Alzheimer, ancorato fino alla fine alla foto della moglie, al suo ricordo. Da qui l’immagine dello scienziato disilluso su un divano consumato in mezzo al deserto, mentre cerca la voce della moglie tra i suoni dell’universo.

Ma il dramma della perdita è qui alleggerito teneramente dalla visione che ne ha il bambino Tito, ingenuamente convinto di comunicare col padre attraverso una fotografia. Non c’è spazio per la tragedia e per il lutto, perché l’universo percettivo è quello di un bambino che ha ancora in sé la speranza; e sarà proprio la sua perseveranza nel voler ricongiungere due universi apparentemente così lontani, quello della morte e quello della vita, a consentire allo zio di ritrovare se stesso e lasciarsi il passato alle spalle.

Ma prima di chiudere il varco tra i due mondi, il contatto avviene davvero, in un tenero confronto surreale in cui i protagonisti  ritrovano i loro affetti più cari per un istante tanto breve quanto intenso. La fantascienza si rivela funzionale al progetto di una commedia delicata e stravagante, tra scenari eccentrici e invenzioni ingegneristiche fantasiose, tra cui L.I.N.D.A., il robot costruito dal Professore per captare la voce della moglie defunta. In fin dei conti, tuttavia, che gli alieni esistano o meno non è poi così importante (come dice Tito in chiusura del film “Secondo me qua gli alieni non ci stanno”): l’alieno è qui l’altro da sé, quella zona d’ombra su cui proiettiamo tutto ciò che abbiamo perso e non sappiamo lasciar andare. Accettare questa perdita è il segreto per poter andare oltre e ritrovare anche l’amore, come avviene tra il Professore e la sua eccentrica assistente Stella (Clémence Poésy).

Un film intensamente leggero e delicato, che fa sorridere e riflettere, in un continuo alternarsi di personaggi estrosi e situazioni bizzarre; un po’ come vorremmo fosse la vita.

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