“BLUE AMBER” DI JIE ZHOU

Vivendo un’epoca che pretende di monetizzare ogni cosa, assistendo alla perdita di terreno dei sentimenti e dei valori umani a vantaggio della brama del denaro e dei beni di consumo, il giovane Jie Zhou, talentuoso cineasta esordiente, si pone un quesito schietto e problematico: Quanto vale una vita?

Questo il Leitmotiv del film, una questione su cui il regista cinese si è interrogato, ha riflettuto e lavorato per ben dieci anni: “Era il 2008, quando per la prima volta lessi il romanzo Two Hundred and Forty Months of Life di Xu Yigua e decisi di scrivere l’adattamento, ad oggi non sono ancora riuscito a trovare una risposta alla domanda”. Zhou non s’incarica quindi di risolvere l’impossibile enigma, il suo atteggiamento dal punto di vista filosofico-concettuale è tanto umile quanto coraggiose sono le scelte che adotta nella narrazione. La sceneggiatura attinge da piani temporali tra loro distinti, il montaggio compone un flusso vitale che, scorrendo attraverso visioni folgoranti, è scandito da tragici avvenimenti.

Regia e fotografia denotano lodevole consapevolezza e sorprendente maturità, la macchina da presa assiste all’azione ora immobile ora muovendosi con discrezione, la composizione del quadro e la messa in scena sono frutto di notevole talento visivo applicato a uno studio dettagliato. Il flusso, che si sussegue attraverso l’intera scala dei piani così come quella cromatica, si personifica nella giovane vedova Lotus (Wang Zhen’er), i cui tratti sono delineati con profonda e sottile sensibilità: una delicata donna dal capo chinato che ad ogni mossa sembra volersi scusare per il solo fatto di esistere, unica portatrice di empatia nell’universo che abita, dove i suoi cari sono morti e i vivi non la comprendono; prima maestra d’asilo e poi cameriera presso una famiglia benestante, oscilla da una famiglia all’altra e convive col fantasma del marito, trova sollievo nella bottiglia e si accanisce sulla calcolatrice, illudendosi di strapparle, per sfinimento, la risposta tanto desiderata. È certamente anche grazie alla sua protagonista e alla sua performance intensa, sofferta e sincera che Jie Zhou può vantare la riuscita della sua opera prima.

Sul finale, la sequenza della cena sul terrazzo è un autentico pezzo di bravura che porta al culmine il carico emozionale. La macchina da presa rapisce lo spettatore e lo invita ad unirsi alla sua danza sulle note suonate dagli archi. Passato, presente e futuro siedono allo stesso tavolo. per una sera la morte cessa di esistere e inneggia alla vita.

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