CONFERENZA STAMPA DI APERTURA DEL 36° TORINO FILM FESTIVAL

Torino, 13 novembre 2018. Nella sala 3 del cinema Massimo, Sergio Toffetti ed Emanuela Martini inaugurano la conferenza stampa del 36° Torino Film Festival. Sullo sfondo campeggia il corpo danzante della bellissima Rita Hayworth, ritratta nel film del 1942 Non sei mai stata così bella, di William A. Seiter.

L’immagine scelta come icona ufficiale di questa edizione – spiega la direttrice artistica Martini – ben rappresenta lo spirito del festival, impegnato sin dal 1982 nella ricerca, promozione e valorizzazione dei cineasti più innovativi del panorama cinematografico mondiale. Freschezza, energia e vitalità sono dunque le parole chiave che hanno guidato la selezione dei curatori.

Da sinistra a destra: Roberto Manassero, Emanuela Martini, Davide Oberto.

 La rassegna conta un numero complessivo di 178 film, di cui ben 36 sono le opere prime e seconde. Importante anche il novero delle anteprime, 34 mondiali e 59 italiane, che consolidano la centralità e il prestigio della kermesse torinese nel contesto dei grandi festival internazionali.

Le istanze di rinnovamento e modernità portate avanti dagli organizzatori si esprimono prima di tutto nella scelta della giuria, presieduta quest’anno da Jia Zhangke, figura di spicco del nuovo cinema cinese. Accanto a lui siederanno personalità del calibro di Miguel Gomes, Col Needham, Andreas Prochaska e Marta Donzelli. Significativa inoltre l’elezione di Pupi Avati a guest director, che per questa edizione ha ideato la sezione Unforgettables: un’assortita antologia di opere che scandagliano il profondo legame che unisce il cinema alla musica, con titoli come Bird di Clint Eastwood, The Glenn Miller Story di Anthony Mann e Bix dello stesso Avati.

Sulla medesima linea si pongono le retrospettive, dedicate quest’anno alla riscoperta di due pilastri del cinema moderno. Da una parte, l’estro creativo e visionario dei The Archers, ovvero Michael Powell ed Emeric Pressburger, autori di capolavori come Scarpette rosse, Scala al paradiso o Duello a Berlino; dall’altra, la profondità viscerale e oltranzista delle opere di Jean Eustache, l’irrequieto erede spirituale della Nouvelle Vague che ha inseguito nei suoi film il mito baziniano del cinema totale.

Scarpette Rosse, di Powell & Pressburger, 1948.

Sarà proprio in occasione della proiezione di un suo lungometraggio, La maman et la putain del 1973, che verrà conferito il Gran Premio Torino a Jean-Pierre Léaud, l’eterno ribelle dei film di Truffaut e Godard. L’appuntamento è al cinema Massimo alle 20.15, dove l’attore incontrerà la platea nella serata di giovedì 29.

L’ossatura del festival resta intatta. Torino 36, il concorso dedicato alle opere prime e seconde, ospita 15 film provenienti da tutto il mondo, tra i quali l’italiano Ride di Valerio Mastandrea. Onde e Tff.doc – le sezioni curate rispettivamente da Massimo Causo e Davide Oberto – rimangono le officine creative della rassegna: nella prima il cinema diventa una macchina ontologica, l’unico strumento in grado di salvare e verificare la realtà (si pensi a La flor, il film di 14 ore dell’argentino Mariano Llinàs); nella seconda è il reale ad essere sondato e scoperto – quest’anno in una declinazione apocalittica –  attraverso le forme del cinema documentario.

In ultimo, si riconferma punta di diamante del festival la sezione Festa Mobile, dedicata alle opere più significative realizzate nel 2018. Fra tutte spiccano The Front Runner di Jason Reitman e Santiago, Italia di Nanni Moretti, rispettivamente film di apertura e chiusura della rassegna.

Dunque gioventù, energia, musica e sperimentazione. Sono queste le carte vincenti del 36esimo Torino Film Festival, alle quali però va aggiunto un ultimo fondamentale elemento: le presenza delle donne. La manifestazione infatti ospiterà una massiccia componente femminile, con ben 27 registe presenti fra tutte le sezioni della competizione.

Quest’anno il Torino Film Festival sembra promettere una danza esplosiva, un concentrato di pura energia. A noi non resta che aspettare, fiduciosi che la gioiosa allegria della danza di Rita Hayworth possa durare il più a lungo possibile.

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