“DRIVE ME HOME” DI SIMONE CATANIA

Un casertano e un romano: fino a qualche mese fa non si conoscevano, ma non sono poche le cose che hanno in comune. Marco D’Amore e Vinicio Marchioni sono due attori di talento e di consolidata esperienza. Condividono la formazione teatrale e l’abituale frequentazione del cinema, oltre all’affermazione presso il pubblico delle serie tv ad opera dello stesso regista, Stefano Sollima, che ha “lanciato” il primo con Romanzo Criminale (2008-2010) e il secondo con Gomorra (2014- in corso). Oggi si trovano a Torino per presentare l’opera prima di un giovane regista, Simone Catania, produttore di documentari che ha impegnato i due attori in un road movie che attraversa l’Italia e l’Europa.

Tino (D’Amore) e Antonio (Marchioni) sono cresciuti insieme in un paesino siciliano, sognando di vivere altrove i loro anni migliori. Oggi uno vive e lavora in un enorme camion che guida attraverso l’intero continente, l’altro ha trascorso alcuni anni a Londra, la mecca dei disoccupati, e, solo al mondo, come una pietra rotolante vaga senza meta. Un giorno s’incontrano per caso, e in poco tempo raggiungono quella profondità di rapporto che sembrava per loro sparita.

“Una storia d’amore a tutti gli effetti, un amore platonico, che non si consuma, ma pur sempre un amore”. Questa la lettura che Marchioni condivide con il suo “scintillante” regista, il cui metodo di lavoro ha incontrato il forte apprezzamento anche di D’Amore: “Ho trovato il copione estremamente profondo; costruendo il personaggio basandomi sulla solitudine, sono stato aiutato dall’ossessività di Simone, vero driver del film, a stravolgere l’immagine che da anni mi connota”. L’attore campano formatosi con  Toni Servillo dà prova di notevole versatilità e conferma il proprio talento nell’immedesimazione: abbandona il dialetto napoletano a favore della cadenza siciliana, parla inglese e fiammingo, il look lo rende quasi irriconoscibile. Marchioni si destreggia più che credibilmente tra inglese e tedesco, e presenta il suo Antonio attraverso una variazione sullo stereotipo dell’italiano in gita. Continuano a sognare, i due ragazzini diventati uomini; sognano l’indipendenza, la pace con se stessi e con il mondo. Tra esperienze psichedeliche, episodi bucolici e irresistibili goliardate, la loro traversata è la lunga ricerca di un’identità che sfugge e si fa inseguire.

“Vaffanculo! Vaffanculo! Vaffanculo!” è il grido di battaglia della scena iniziale, rivolto dai due ragazzini alla terra da cui si sentono soffocati; lo stesso grido che riecheggia in chiusura, vent’anni dopo, nello stesso luogo. Spiega Catania: “Sono due vaffanculo diversi, quasi opposti, che aprono e chiudono un cerchio ideale; il primo è un urlo rabbioso e sofferto di chi scappa da casa, il secondo è la liberazione di chi a casa è tornato”.

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