“IL MANGIATORE DI PIETRE” DI NICOLA BELLUCCI

Cesare (Luigi Lo Cascio) cammina col passo fermo della gente di montagna, come se le pietre le mangiasse coi piedi. Ha lo sguardo duro di chi sulle montagne ci è nato, di chi non saprebbe vivere altrove, di chi dalla montagna è stato scolpito.

Cesare scolpisce statue in legno e vende la pelle di animali selvatici, ma faceva il passeur; traghettava gente sconosciuta e disperata, nelle poche ore di una notte, attraverso il confine sulle Alpi, da una vecchia vita a una nuova. Di entrambe, lui non avrebbe mai saputo nulla. Ma quello era il vecchio lui. Poi il mondo è cambiato, è cambiato il mestiere, e lui non ha più voluto sporcarsi le mani.

Sergio (Vincenzo Crea) vive nello stesso paese di Cesare. Ha meno di vent’anni e lavora con suo padre: allevano mucche e fanno formaggio, come tutti quelli che vivono lì. Il padre di Sergio è burbero e i due hanno un rapporto duro. Anche per questo il ragazzo vuole andarsene, fuggire dalle montagne e dalla vita che impongono.

Il mangiatore di pietre, primo film di finzione del documentarista Nicola Bellucci, è tratto dal romanzo omonimo di Davide Longo (che è stato anche cosceneggiatore) e si presenta come noir, anche se la trama poliziesca passa quasi in secondo piano. Non poche sono le tematiche di attualità che la storia tocca: la traversata clandestina dei migranti oltre il confine francese, il contrabbando, la corruzione, oltre a una generale luce gettata sulla mentalità chiusa degli abitanti dei piccoli borghi di montagna. Ma come il regista stesso ha dichiarato, non era tanto la denuncia a interessarlo, né la trama noir, quanto i rapporti umani e l’evoluzione dei personaggi, in particolare Cesare e Sergio.

Bellucci mantiene anche in questo film uno sguardo da documentarista, raccontando attraverso inquadrature lunghe, in cui un occhio esterno e distaccato si limita a riprendere ciò che accade. Il film nasconde un cuore palpitante di conflitti, relazioni, vicende forti; tutto patisce però un po’ di lentezza, che toglie potenza a una storia che ne avrebbe molta. Il finale, al confronto, sembra un’esplosione affrettata, che finisce per lasciare una punta amara di insoddisfazione in bocca, come un fiammifero bruciato troppo in fretta dopo averlo osservato per ore.

Il mangiatore di pietre ha il passo lento e regolare della gente di montagna, il loro apparente distacco da tutto; eppure, come i passeur, ha lo sguardo che va lontano, oltre la neve e l’aria ghiacciata, verso un altrove alla fine del viaggio.

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