“LAND” di BABAK JALALI

La storia contemporanea dei nativi americani è una storia triste di cui si parla poco, ma il Torino Film Festival sembra in un certo senso avere un occhio di riguardo per chi la racconta. Dopo Avants les rues in concorso a Torino 34 e l’ottimo Wind River di Taylor Sheridan presentato in anteprima lo scorso anno, adesso tocca a Land dell’iraniano Babak Jalali, realizzato con il sostegno di Torino Film Lab.

Jalali racconta che la genesi di Land inizia sette anni fa quando lesse su The Guardian un articolo riguardante le difficili condizioni di vita dei nativi americani nelle riserve in cui sono confinati. Nonostante gli Stati Uniti siano uno tra gli stati più ricchi al mondo, le condizioni delle tribù native superstiti sono tra le più precarie e difficili. Piagati dall’abuso di alcol, dal diabete, dall’alto tasso di disoccupazione, gli Indiani d’America arrancano per cercare di vivere una vita dignitosa in quei fazzoletti di terra che sono le riserve.

Dopo anni di ricerche fondi e mesi passati nelle riserve a documentarsi e a cercare di convincere quella comunità – che si sente dimenticata – dell’onestà del proprio lavoro, Jalali ha potuto portare sullo schermo un film che si inserisce a gamba tesa nel filone narrativo riconducibile alla cosiddetta “nuova frontiera americana”. E lo fa spogliandolo di ogni elemento mitico o romantico, restituendo un’immagine onesta e brutale della vita in riserva.

Al confine della riserva indiana di Prairie Wolf si staglia solitario e impolverato il Liquors Store gestito da Sally. È vietato introdurre alcolici nel territorio della riserva, quindi a fare da contorno al desolante quadro del negozio ci sono alcuni uomini e donne nativi americani che passano le loro giornate a bere birra, prima spendendo i pochi soldi che hanno e poi sperando che qualcuno risponda affermativamente alla loro domanda me la pagheresti una birra?”.

Attesa è la parola chiave di Land. La famiglia Denetclaw attende. L’alcolizzato Wes attende che qualcuno gli offra un’altra birra ancora; l’anziana madre dei fratelli Denetclaw, Mary, attende che sia sera per andare a riprendere Wes che ogni mattina lascia al negozio di alcolici; il capofamiglia Ray attende che l’esercito gli restituisca la salma del fratello Floyd, morto in guerra. Con Floyd muore l’ultima possibilità di Mary di riscattarsi, ma muore anche il torpore di Ray che da ex-alcolizzato decide che è tempo che anche suo fratello Wes ne esca.

La vita dei nativi scorre apatica tra l’alcol per alcuni e il lavoro per altri e si riflette nella lentezza della messa in scena. Jalali predilige inquadrature lente e primi piani intensi che mettono in risalto gli sguardi tristi e rassegnati dei suoi protagonisti, quasi tutti attori non professionisti ma dotati di una forte presenza scenica.

Land non è un documentario, ma potrebbe esserlo. I Denetclaw sono una famiglia di finzione, ma sono anche la rappresentazione veritiera di tante famiglie che lottano ogni giorno con la propria realtà o che più spesso si abbandonano ad essa, abbandonati e dimenticati da un Paese che non riconoscono come proprio.

Land lascia un retrogusto amaro, una tristezza impotente. È un film pessimista la cui unica, flebile, luce di speranza è data dalla determinazione di Ray, dalla volontà di riscatto che passa dall’appropriazione di un gallo da combattimento e da una macchina che si avvia verso l’orizzonte roccioso del deserto.

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