“NUEVA ERA” DI MATTI HARJU

Notte. Camera fissa su un paesaggio post industriale con binari e luci a intermittenza. Fin dall’incipitNueva Era non è disposto a scendere a compromessi con lo spettatore, non introduce a una narrazione, anzi, non è interessato a farlo. Nei pressi di un bosco, due amici, uno dei quali è l’artista finlandese Matti Harju, fumano tabacco da rolling. Da qui le immagini, alternate a repentini stacchi e rallentamenti, si fanno flusso, difficilmente controllabile e vicino a certe opere di videoarte, spaziando da parcheggi di centri commerciali e vecchi depositi d’auto a interni di fredde camere e sale da bowling. C’è anche una enigmatica figura femminile il cui sguardo è spesso sfuggente, negato agli spettatori dal buio o dai lunghi e scuri capelli.

Un frame con Olga Dmitriev.

Sono luoghi, situazioni e oggetti che fanno parte di Matti Harju, della sua quotidianità monotona, priva di sussulti e vitalità, non sempre necessariamente riflessiva ma piuttosto spesso meccanica e frugale. Che sia una conversazione con l’amico su quanto sia pessimo fumare tabacco secco o una vuota telefonata stropicciandosi gli occhi dopo un risveglio, gli scarni dialoghi sono perfettamente funzionali ad evocare una certa atmosfera di fondo malinconica ma non necessariamente triste. Le fotografia è efficace e incisiva proprio perché sporca e difettosa nella composizione, con immagini spesso caratterizzate dal “rumore” tipico di riprese notturne con mezzi lo-fi. Frequenti i piani stretti di Matti Harju, sempre accompagnato da particolari come la canottiera da hockey, il cappellino, la camicia sbottonata con un pacchetto di sigarette nella tasca, che completano il ritratto di un’indole pacata. Altro elemento ricorrente e caro all’artista finlandese è il disegno, evocato in tante declinazioni, fino a giungere alla pittura; disegno che spesso si avvicina a forme floreali.

Un frame con Matti Harju.

Per quanto si possa tentare di associare alcune immagini fra loro, la fruizione rimane una suggestiva esperienza, diretta espressione di un’estetica personalissima e ancora in fase di maturazione (i titoli di coda chiariscono che si tratta della prima parte di una trilogia di film sperimentali). Una sorta di estetica del frammento quella di Matti Harju già ampiamente rintracciata in Afrikka, precedente opera presentata all’International Film Festival di Rotterdam nel 2012.

Molto poetica la lunga inquadratura finale, a camera fissa, su una strada in un paesaggio suburbano desolato e polveroso con accanto una pista di go-kart. L’incessante ronzio delle macchine attorno alla pista si fa metafora della ciciclità esistenziale del regista e, come sembra suggerirci, di ognuno di noi.

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