SOUNDFRAMES: LA MUSICA NEL CINEMA D’AUTORE

La musica rappresenta da sempre una delle forme espressive maggiormente capaci di donare, a chi ne fruisce, la possibità di immergersi in un mondo a sé stante: le note si mescolano con le emozioni, le accelerano, le inibiscono e le regolano. È interessante notare come questo carattere empatico della musica si accordi con un tipo di cinema che è stato, quasi sempre, in grado di veicolare attraverso le immagini una sensazione, uno stato d’animo: il cinema d’autore. In questo ambito, molti registi hanno spesso scelto di non accompagnare semplicemente le sequenze dei loro film con temi ripetitivi, come poteva accadere nel cinema classico hollywoodiano, ma di dare allo spettatore la possibilità di interpretare le immagini anche attraverso la melodia e il suono a esse legate, sfruttando la possibilità di dar loro un colore diverso .

La mostra Soundframes, allestita al Museo Nazionale del Cinema di Torino fino al 7 gennaio 2019, presenta ben tre pannelli dedicati alla musica nel cinema d’autore.

Nel pannello numero 10, dal titolo Sincronia/ Reciprocità/ Enfasi, il visitatore può fruire di brevi spezzoni di Jules e Jim  (François Truffaut, 1962), Millennium Mambo  (Hou Hsiao-Hsien, 2001), Apocalypse Now (Francis Ford Coppola, 1979), Tre colori: Film Blu (Krzysztof Kieslowski, 1993) e  Mouchette (Robert Bresson, 1967). In ciascuna sequenza il piano musicale funge da specchio al piano narrativo.  Le sensazioni provate dalla spettatore nel vedere le immagini, sono enfatizzate grazie alla musica che le accompagna.

Così, ad esempio, in Apocalypse Now, ci si trova di fronte a un panorama  devastato dalle fiamme e proprio mentre queste iniziano a dilagare udiamo l’intro di The End dei Doors; “questa è la fine”, una fine che viene però evocata da una serie di immagini che ci mostrano una vera e propria distruzione, sia simbolica che materiale.

Il secondo pannello dedicato all’incontro tra la musica e il cinema d’autore, il numero 11, dal titolo Anticipazione/Contrappunto/Contrasto è caratterizzato da una raccolta di sequenze di cinque film: Aleksandr Nevskij (Sergej Ėjzenštejn, 1938); After Hours (Martin Scorsese, 1985); Kill Bill Vol. 1 (Quentin Tarantino, 2003); Shining (Stanley Kubrick); Week End – Una donna e un uomo da sabato a domenica (Jean-Luc Godard, 1967).

Il contrappunto, nell’ambito musicale, consiste nel combinare delle melodie autonome tra loro. Nel cinema d’autore può spesso darsi quando viene impiegato un tipo di musica che suggerisce a primo impatto suggestioni completamente differenti dalle immagini che si stanno guardando. Era proprio questo il senso del Manifesto dell’asincronismo, proposto da Ėjzenštejn nel 1928: impiegare il suono per accrescere l’impatto emotivo sullo spettatore.

Nello schermo 11, il visitatore si trova di fronte a film che fanno questo uso “contrappuntato” della musica. Viene proposta ad esempio una sequenza di Kill Bill Vol. 1 in cui una donna entra in ospedale fishiettando un’allegra melodia (Twisted Nerve di Bernard Herrmann), che da diegetica si trasforma poi in extra-diegetica. La musica suggerirebbe allo spettatore un’atmosfera gioviale, ma la donna si prepara  invece a somministrare un’iniezione letale alla protagonista.

Nel terzo pannello, il numero 12, dal titolo Indifferenza e straniamento, le sequenze mostrate al visitatore sono tratte da Wodaabe (Werner Herzog, 1988); Arancia Meccanica (Stanley Kubrick, 1971); Accattone (Pier Paolo Pasolini, 1961); Palombella Rossa (Nanni Moretti, 1989).

La musica ha il potere di emanciparsi dalle immagini, e di provocare nell’animo dello spettatore una sensazione di straniamento: in questo modo diviene quasi protagonista, allontanandosi da uso prettamente mimetico. Lo spettatore  è costretto a domandarsi le ragioni dell’uso di quel tipo di melodia in relazione alle sequenze che vede.

Nello schermo dedicato viene proiettata ad esempio una scena di Palombella Rossa in cui nel bel mezzo di una concitata partita di palla a nuoto viene inserita la canzone I’m on Fire di Bruce Springsteen, emessa da una radio posizionata sugli spalti:  tutti si fermano con volti attoniti e cominciano a canticchiarla. È interessante notare come i protagonisti siano fisicamente tutt’altro che “on fire” e come il brano funga addirittura da incitamento per lo svolgimento della partita. È come se lo spettatore stesso fosse costretto a fermarsi per comprendere il significato di questa scelta.

I tre schermi suggeriscono, in modalità differenti, che la musica nel film può rappresentare un elemento ulteriore di significazione. Può arricchire, sconvolgere ed distanziare lo spettatore,  le cui  percezioni cognitive vengono ampliate, permettendogli così di entrare da porte nascoste nell’area più segreta del film.

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