“UNTHINKABLE” DI CRAZY PICTURES

Il pregio di Unthinkable, blockbuster a basso costo ambientato nella Svezia contemporanea, prodotto dal collettivo Crazy Pictures con un finanziamento di soli 1,8 milioni di euro – di cui la metà raccolti in crowdfunding -, sta proprio nella resa spettacolare nonostante la scarsità di mezzi. Peccato che la grande padronanza tecnica non possa correggere le incongruenze di una sceneggiatura difettosa e a tratti involontariamente grottesca.

Siamo in Svezia, dunque, terra fredda e verde, placida nell’immaginario popolare, ma evidentemente scossa da tormenti e paure sotterranee. Perché Unthinkable si apre e già preannuncia l’impensabile catastrofe che presto pioverà sulla popolazione tutta. Tra i tanti cittadini comuni coinvolti nel disagio apocalittico c’è Alex (Christoffer Nordenrot), eroe detestabile del racconto, il cui unico scopo nella vita pare esser quello di riacciuffare, con inganni e romanticismi raffazzonati, l’amore perduto della sua adolescenza. Adolescenza che è atto primo, in flashback, di una vicenda che qui pone didascalicamente le pistole di Cechov – pronte a sparare prevedibili e fatali colpi agli sviluppi drammaturgici del film- nei momenti più sentimentalmente grotteschi della narrazione.

Jesper Barkselius e Christoffer Nordenrot

Narrazione che si regge su tre fili che s’intrecciano e si dipanano lungo le oltre due ore di durata del film – una lunghezza che, nonostante tutto, non pesa, grazie al modo in cui Crazy Pictures affronta le sequenze d’azione e di puro intrattenimento pirotecnico. All’azione in grande stile, motivata dal tema apocalittico e terroristico, si allacciano gli altri due fili dell’amore del protagonista per Anna (una mediocre Lisa Henni) e dell’odio per il proprio padre (Jesper Barkselius). Impressionano in positivo i due interpreti maschili: il protagonista, forse grazie al suo lavoro come cosceneggiatore, riesce a restituire quella repressione edipica che in età adulta in lui sfiora il patologico – senza alcun realismo, ma con accattivante espressività -; il padre, nonostante le sue scene contengano le vette parossistiche di cui sopra (la sega-killer e le scene con la chitarra sono tanto bizzarre da apparire parodie consapevoli), con garbo e dignità attoriale le riorganizza in chiave spettacolare. Presi di per sé, i personaggi funzionano; è il loro incontro-scontro, però, che soffre le lacune goffe della scrittura, soprattutto dialogica.

Impensabile che un film del genere voglia prendersi troppo sul serio, verrebbe da pensare. E invece lo fa – e retrospettivamente è proprio questo suo scadere con orgoglio nel patetico che affascina, sedimentandosi nel ricordo della visione. Unthinkable ha indubbi meriti: la grandiosità della colonna sonora (e uno dei percorsi che sarebbe stato interessante veder tessuti meglio è quello che riguarda il rapporto un po’ autistico di Alex con la musica) e la brutalità spudorata con cui affronta i timori cospirazionisti del popolo svedese verso il suo nemico russo. Rimane la sconcertante pochezza dei dialoghi, l’ilarità poco digeribile di alcuni frangenti della componente drammatica e un diffuso senso del patetico. Ma, ripetiamolo, è forse anche questo il punto di forza di un film che ha già venduto i suoi diritti in più di sessanta paesi.

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