“PRETENDERS” DI JAMES FRANCO

“Jeanne cerca Paul”. Su molti quotidiani statunitensi degli anni Ottanta non era raro trovare annunci del genere: giovani e aspiranti Maria Schneider cercavano prestanti e aspiranti Marlon Brando per ricostruire le situazioni di passione erotica del capolavoro di Bertolucci. Terry e Phil, compagni alla scuola di cinema, ci passeranno entrambi. Sono disperati. Cercano conforto dalla perdita del comune amore Catherine: i tre sono cinefili incalliti, cresciuti nel momento in cui anche gli Stati Uniti scoprono la loro personale nouvelle vague, la Nuova Hollywood. La passione li guiderà per tutta la vita, senza però riuscire a renderli pienamente felici.

Non era sicuramente facile per James Franco ripetere l’emozionante e maturo The Disaster Artist. Non è mai facile superare le proprie passioni per avere uno sguardo disinteressato, come non è mai facile andare oltre il gratuito citazionismo. E infatti il film poco riesce a raccontare senza cadere in un immaginario talvolta eccessivo, sognante e artificioso.

Il pesante flou di Peter Zeitlinger, che cura la fotografia, ci fa immergere in una realtà onirica, troppo astratta e poco reale, quella della New York artistica e sofisticata degli anni Ottanta, interessantissima dal punto di vista culturale, sociologico e artistico ma decisamente più profonda rispetto a quanto mostrato: dai vernissage alle sperimentazioni e alla pittura, per concludere con l’ascesa dell’AIDS, il cui utilizzo narrativo è di sicuro l’errore più ingenuo del regista.

Jack Kilmer e Shameik Moore formano una coppia di interpreti completa: da una parte il biondo e romantico regista che dedica la sua vita artistica alla sua musa, dall’altra il libertino fotografo che non perde occasione per mettere la cravatta alla porta della sua camera nel college (indizio che al suo interno è in corso un rapporto sessuale). La presenza di Jane Levy, d’altro canto, appesantisce con un rimando fin troppo esplicito alla irrequieta Jeanne Moreau di Jules e Jim.

Una bella nota positiva è la magnetica Juno Temple che interpreta la vulcanica attrice Victoria e che con la sua freschezza spezza il vortice di smielato romanticismo nel quale la pellicola si stava perdendo.

Né Franco né i suoi personaggi riescono completamente a liberarsi dei loro miti, come se avessero bisogno di sfogare la loro cinefilia in un flusso fanatico di ispirazioni, dal Bertolucci di The Dreamers all’ “amplesso fotografico” di Antonioni e il suo Blow-Up.

Il risultato porta a far dissolvere un affascinante triangolo amoroso tra un regista, un fotografo e una magnetica attrice nel vortice degli stereotipi di un ventennio: una bella storia che si perde in una Storia esplorata troppo superficialmente.

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