“VARGUR/VULTURES” DI BÖRKUR SIGBÓRSSON

Il genere noir ha permesso di scavalcare le narrazioni della detection classica mettendo in scena situazioni intricate e personaggi lacerati da conflitti interiori, mai inscrivibili nella tradizionale dicotomia di bene e male. Vargur di Börkur Sigbórsson, il cui titolo per la distribuzione internazionale è Vultures, riprende con efficacia queste lezioni, in un noir potente e cupo sia nell’ambientazione sia nell’essenza.

Due fratelli, rappresentanti di un Islanda contraddittoria (avvocato di successo Erik, delinquente braccato dagli strozzini Atli), organizzano un piano criminale che prevede lo sbarco a Reykjavik di una ragazza con alcuni ovuli di cocaina nello stomaco. Inevitabilmente le cose si complicano e i piani deragliano di sequenza in sequenza, per la verità, quasi fin da subito.

Un frame con Gísli Örn Garðarsson (Erik).

Il regista, al primo lungometraggio di finzione dopo tante regie di videoclip musicali, conosce i trucchi per imprimere ritmo e tensione, probabilmente seguendo un certo filone cinematografico e letterario di thriller ad ambientazione nordica. L’inizio è folgorante, improntato da un’estetica visiva fredda caratterizzata dalla tonalità blu (che rimarrà costante) e da una ridotta profondità di campo che imprigiona i protagonisti in un’aura angosciante. L’inquietudine pervade subito le immagini, un susseguirsi di cellulari che squillano e conversazioni telefoniche -alle quali è delegato inizialmente l’avanzamento narrativo- rendono fitto il clima di sospetto.

L’efficacia nel delineare i personaggi, anche quello della caparbia poliziotta Lena, è ottenuta procedendo per tratteggi ed elementi discontinui, in cui le azioni o le non azioni (come nel caso di Erik a casa della madre) riflettono una personalità complessa e una storia pregressa fatta di oscurità e lacerazioni. Le inquadrature, i primi e primissimi piani sono spesso ricercati dal regista islandese, quasi a voler afferrare e mettere a nudo una sfera emotiva dei personaggi irrimediabilmente corrotta. Funzionale la scelta e la recitazione del cast: in particolare Erik, interpretato da Gísli Örn Garðarsson, glaciale e cinico nell’affrontare le situazioni più estreme, si fa rappresentante di un male viscerale e cieco, assai più del fratello più umano e dai nervi più deboli.

Il regista Börkur Sigbórsson in conferenza stampa.

Vargur non rimarrà negli annali del cinema noir, non aggiunge al genere aspetti memorabili anche se gioca sapientemente le carte a disposizione, compreso il crudo realismo di alcune scene che scuote nel profondo. Nella conferenza stampa di presentazione, lo stesso regista offre una possibile chiave di lettura di matrice sociale, più legata ai riflessi del periodo di eccessi e crollo dei valori, antecedente alla crisi globale del 2008. Il noir quindi potrebbe esser letto come metafora della disperazione di una società spesso invece descritta come campione di benessere. Ma Vargur è efficace, indipendentemente dalle implicazioni sociali, per la profondità con cui indaga la natura umana, capace di derive nel male sconsiderato e fine a se stesso.

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