“TOUCH ME NOT” DI ADINE PINTILIE

Il corpo, l’imperfezione, il piacere e il rapporto che ognuno ha con la propria sessualità.
Sin dalla prima lunga carrellata su un (villoso) corpo maschile nudo che apre il film, la giovanissima regista rumena suggerisce allo spettatore quali saranno i temi trattati, rimaneggiati, esplorati e combinati durate le due ore successive.

La regista Adina Pintilie in una scena del film.

Touch Me Not  è la coraggiosa opera prima di Adina Pintilie, vincitrice dell’Orso d’oro alla Berlinale 2018. Il lungometraggio gioca sul sottile filo che separa documentario, film di finzione e videoarte e risulta estremamente cangiante mentre seguiamo le tre storie principali: quella di Laura, una donna matura che ha enormi difficoltà a farsi toccare e che osserva il corpo nudo degli altri per scoprire il proprio; quella di Christian, che è affetto da una gravissima deformità, che non gli ha però impedito di trovare l’amore e scoprire i piaceri del sesso; infine la storia di Tudor, che vive nel ricordo di un amore ormai passato e sta cercando qualcosa per andare avanti.
La giovane filmmaker fa continuamente capolino all’interno del suo stesso film, filtrata da uno schermo che usa per interfacciarsi durante le interviste che fa a Laura e mentre segue il suo percorso di scoperta del corpo attraverso il contatto con una prostituta transessuale e un bondage-coach.

Tudor e Christian durante una fase del workshop.


E’ dal contatto tra Tudor e Christian che nasce la parte più interessante del film, in cui vengono rinegoziati i criteri di ciò che è bello e ciò che non lo è: “una divisione che nasce dal mondo cristiano: per dividere ciò che è bene e ciò che è male”, secondo Christian. L’estrema onestà di questo incontro permette di esplorare tanto l’altro quanto se stessi, durante un workshop creato dalla regista Pintilie.
Tudor e Christian sono i due personaggi opposti : il primo è bello, giovane ma probabilmente scottato da un’esperienza del passato, ascolta e interroga con molto interesse; il secondo è deforme, brutto, raccapricciante ma al contempo estremamente felice e cosciente della propria situazione sentimentale e della propria vita sessuale.


Un film interessante, che si inserisce con personalità nella discussione sulla ricerca di identità e sulla sessualità, ma indubbiamente non perfetto. Clichés e banalità possono annidarsi dietro ogni parola, dietro ogni gesto, qualora non vengano supportati da un’argomentazione forte. La scena del sex club ne è un esempio: luogo della sessualità “alternativa” per eccellenza, diventa un grande calderone in cui mescolare casualmente indumenti in lattice, maschere, borchie, corde, omosessualità, feticismo, bondage e scene di sesso che assomigliano a sedute di fisioterapia.

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