Ricordo di Agnès Varda

Nella notte tra giovedì 28 e venerdì 29 marzo è venuta a mancare Agnès Varda. Nata in Belgio da madre francese e da padre rifugiato greco, Varda si laurea alla Sorbona per poi intraprendere lo studio della storia dell’arte e della fotografia. Dopo aver lavorato inizialmente come fotografa di matrimoni e poi come fotoreporter, la sua carriera cinematografica – lunga quasi sessantacinque anni – inizia con un film tradizionalmente ritenuto un precursore della Nouvelle Vague, e cioè La Pointe Courte (1955). Il film fu montato da Alain Resnais e Henri Colpi, esponenti, insieme a Varda, della Rive Gauche della Nouvelle Vague, ed è esemplificativo del suo modo di intendere il cinema: trovandosi in un borgo di pescatori sulla costa Sud della Francia a fare delle foto, Varda rimase ispirata dagli scatti, scrisse una sceneggiatura e girò il film senza alcuna esperienza precedente ed avendo visto, per sua stessa ammissione, soltanto una ventina di film prima di allora. Fotografia e cinema sono sempre stati per Varda linguaggi costantemente in dialogo. Come dichiarò nel 2015 alla rivista Sight & Sound: “Faccio foto o giro film. O metto film nelle foto, o foto nei film”.

Regista di cortometraggi, documentari e film a soggetto, Varda ha sempre ritratto i reietti, gli esclusi, “i ribelli, coloro che combattono per sopravvivere” (Variety, 2017), essendo anche la morte un leitmotiv nella sua produzione cinematografica. Questi temi emergono già a partire da  Cléo dalle 5 alle 7, in cui una giovane cantante attende i risultati di una biopsia, passando per Senza tetto né legge, film vincitore del Leone d’Oro a Venezia nel 1985 ,incentrato sulla morte di una giovane girovaga, e per i due brevi documentari sul movimento delle Pantere Nere, Black Panthers e Huey.   

Agnès Varda con il marito, Jacques Demy

Varda è stata sposata con il regista Jacques Demy, cui dedicò Garage Demy, fino alla morte di quest’ultimo nel 1990; la regista ha sempre messo molto di se stessa nei suoi film: in quelli a soggetto, soprattutto, nei documentari. Ogni personaggio e fotogramma dei suoi film potrebbe essere visto come un’emanazione della regista stessa, come una rifrazione nell’infinito caleidoscopio del suo sguardo e della sua immaginazione.

Varda è inoltre stata una delle firmatarie dello storico Manifesto delle 343 del 1971, che segnò un passo avanti per la lotta per l’aborto legale in Francia. Educatamente noncurante dei premi cinematografici tradizionali, ha accettato con grazia l’Oscar alla carriera conferitole nel 2017, pur affermando che questo riconoscimento non avrebbe segnato la fine della sua attività artistica: il suo ultimo film, infatti, è stato proiettato lo scorso febbraio al Festival di Berlino. Varda par Agnès, non ancora uscito in Italia, è considerato dai critici un commiato colmo di dolceamara gioia per ciò che il mondo ha da offrire e che è passato attraverso l’obiettivo della regista, tono consueto del cinema di Varda.  

L’autoritratto della regista si estende per tutta la sua filmografia, ma è forse con Les Glaneurs et la Glaneuse che Varda mostra maggiormente se stessa: identificandosi con gli spigolatori del titolo esprime con chiarezza come intendesse usare il suo sguardo, e cioè raccogliendo le spoglie del raccolto, mostrando coloro che rimangono a bocca asciutta al tempo della mèsse. Lei, la glaneuse dell’umana esistenza, ha condiviso con gli spettatori le spigolature della realtà e restituito ai suoi personaggi, agli ultimi ed alle ultime, ai diversi ed a lei stessa, lo sguardo di sé. Una vita come la sua non finisce, ma continua a rinnovarsi nella sua arte: Varda est morte, viva Varda!

Immagine dal film “Uncle Yanco” (Agnès Varda, 1971)

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