“A MOZZARELLA NIGGA” DI DEMETRIO SALVI

Il Torino Underground Cinefest, giunto alla sua sesta edizione, è un festival che dimostra quanto si possa riuscire a fare cinema anche senza grandi produzioni alle spalle: il documentario A Mozzarella Nigga di Demetrio Salvi si colloca proprio in una dimensione povera di strumenti ma ricca di contenuti. La scelta produttiva, ovvero quella di raccontare una storia con un budget davvero irrisorio, di soli mille euro, è frutto di una tensione artistica forte, tesa alla libertà: mettere a disposizione i propri (pochi) soldi vuol dire essere liberi di mostrare ciò che più si desidera, senza limiti, costrizioni e obblighi imposti da una produzione.

Ed è proprio la libertà che permea tutto il soggetto del documentario: Maurizio Capone, leader della band The BungtBangt, presenta il suo nuovo album A Mozzarella Nigga, in un locale napoletano in Piazza Bellini. Fermarsi al soggetto, di fronte alla ricchezza di questo documentario è sicuramente controproducente: la sua struttura è imperniata su una forma che ricorda la scansione in atti della tragedia greca in cui ogni atto è una fase di preparazione a un epilogo, in questo caso il concerto finale, in cui temi come riciclo, antifascismo, ritualità descrivono perfettamente la passione di un musicista e della sua band con l’obiettivo principale di mostrare la grandissima capacità di reazione di Napoli. La città viene qui rappresentata non come capoluogo ma come vera capitale di un mondo altro che, nonostante le difficoltà legate alla camorra, allo sfruttamento dei territori e delle condizioni di lavoro,  esiste e resiste grazie alle idee propositive di musicisti, registi, attori e artisti impegnati all’interno dei centri sociali con i più giovani, affinché si relazionino all’arte, alla musica, allo sport e attività utili ad aprire i loro confini mentali.

Maurizio Capone, frontman del gruppo “The BungtBangt”

La musica di Maurizio Capone nasce dal riciclo di oggetti d’uso quotidiano come taniche di plastica, scatole o manici di scopa che si trasformano, grazie alla sua ingegnosa inventiva, in percussioni, chitarre e bassi dai suoni così precisi che, a chiuder gli occhi e ad acuire l’udito, non si noterebbe alcuna differenza: la sua inventiva gli ha permesso di essere definito il primo vero profeta del drum and bass italiano ma anche il primo artista italiano che usa materiali riciclati per produrre la sua musica. Una musica che è atto politico e di denuncia, quella di Maurizio Capone, ma non solo: una musica che è anche rituale, magia, chiave d’accesso a un mondo altro da noi, pronto però ad accoglierci in una dimensione quasi onirica, in cui dominano sonorità tipiche del funky, del reggae e del drum and bass. Il suo grande talento è quello di saper accordare lo slancio energico, rivoltoso della lotta politica con lo strumento armonico della musica, delle sue note, dei suoi accordi, dei suoi riff.

La copertina dell’album

Il documentario di Demetrio Salvi racconta tutto questo e ci riesce con una grande semplicità, da invidiare: non solo cinema verità (la descrizione dell’artista, l’organizzazione del concerto, la ritualità) ma anche cinema di finzione (il racconto dello spettro nel centro sociale) e videoclip musicale (i momenti in cui Maurizio suona all’interno delle celle del centro), arrivano a comporre un sistema organico e funzionale che, nonostante una non indifferente complessità strutturale (e anche qualche difetto formale), dà allo spettatore spunti di riflessione politiche importanti ma anche tanta libertà di potersi divertire, spingendolo quasi ad alzarsi e unirsi, tramite la danza, al magico rituale sonoro.

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