ICONOCLASTA: YANN GONZALEZ

Nel panorama del cinema queer contemporaneo, Yann Gonzalez è sicuramente tra i registi che più suscitano attenzione e creano dibattito all’interno della critica internazionale. Dopo il successo del suo primo lungometraggio, Les rencontres d’après minuit, presentato nel 2013 alla Semaine de la Critique e vincitore del Milano Film Festival, discordanti sono stati infatti i pareri suscitati dal successivo Un couteau dans le coeur, thriller sul mondo della pornografia parigina con Vanessa Paradis.

In questi giorni al Lovers Film Festival, all’interno della sezione Irregular Lovers, il pubblico ha potuto riscoprire una selezione dei suoi primi cortometraggi, tasselli che senza difficoltà si inseriscono all’interno di un percorso autoriale definito.

Una delle cifre predominanti del cinema di Gonzalez sembra essere appunto la ricerca della propria cifra autoriale, dove per questa si intende la coazione a ripetere di soluzioni tematico-stilistiche e al contempo la creazione di un vocabolario sperimentale, di non facile accessibilità.

Tra i temi ricorrenti nel suo cinema, e oggetto di sperimentazione, vi è la sessualità, affrontata dal regista in modo spesso disturbante, estremamente atipico e personale; sessualità che è al contempo esplicita e de-erotizzata, in cui la mostrazione del corpo senza compromessi viene mediata dall’intellettualismo dei dialoghi e da un senso di malinconia incombente.

Tale freddezza viene esasperata dalla recitazione, volutamente straniante, che rende i protagonisti simili a sonnambuli, fantasmi vaganti in un mondo altrettanto surreale, caratterizzato da scenografie stilizzate di neon e cartapesta.

Alla sessualità si accompagna la riflessione sul disagio giovanile, fil rouge che lega i protagonisti di tutto il suo cinema: uomini e donne inquieti e malinconici, pervasi da un senso di anedonia. Ma al fondo di questo apparente nichilismo permane in realtà un impulso vitale, una ricerca che spinge i giovani a intraprendere viaggi e che lascia intravedere la speranza di un cambiamento: così, come rivelano le immagini finali di Les Astres Noirs e Nous ne serons plus jamais seuls, gli innamorati superstiti possono incamminarsi per mano verso il mare o, una volta giunto il giorno, fissare il sole ridendo e senza timore.

E così i giovani, nel cinema di Gonzalez, danzano. Frequenti sono le scene in cui li vediamo muoversi a tempo di musica, seppur in modo disconnesso e con gesti convulsi: dentro a bui scantinati attraverso riti allucinatori, in cui i corpi di adolescenti si agitano aspettando l’alba (Nous ne serons plus jamais seuls), o su palchi in legno improvvisati, su cui si muove sinuosa una fragile spogliarellista (la poliedrica Julie Brémond in Land of My Dreams).

Allo stesso modo sembra danzare Gonzalez, muovendosi consapevolmente tra citazioni del cinema passato (dal giallo all’italiana al cinema d’autore francese), impressioni surrealiste ed elementi pop, riuscendo a calibrare le diverse influenze e rielaborando il tutto attraverso uno sguardo, appunto, autoriale.

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