“IT COMES” DI TETSUYA NAKASHIMA

Tremate, tremate, il ToHorror Film Festival è tornato con la sua diciannovesima edizione e un film d’apertura firmato da Tetsuya Nakashima, intitolato It Comes, in concorso nella categoria lungometraggi. It Comes è un japanese horror che racconta di un viaggio infernale tra le menzogne di un padre e i segreti tormentati di una madre, entrambi manipolati da una presenza che credevano amica, impegnati nella lotta contro una sinistra e infernale presenza che vuole prendere possesso della loro figlioletta di due anni, la piccola Chisa.

Un dramma familiare che rivela le verità occulte di una coppia, dalla struttura in parti molto complessa: la prima dal punto di vista del padre, la seconda da quello della madre, la terza da quello di due medium, che hanno il compito di abbattere questo male il cui volto non si mostrerà mai. Ciononostante, il filo rosso che unisce questi diversi punti di vista è la genitorialità e le problematiche che porta con sé: gli errori di un cattivo padre e una cattiva madre sono la causa principale dei mali che toccano la figlia, anima pura che, messa al mondo, non dovrebbe avere nient’altro che il loro supporto. Benché di  It Comes sia proprio interessante la scelta di raccontare la storia da molteplici punti di vista, le verità che questi rivelano al pubblico sono del tutto prevedibili.

Immagine promozionale del film con i suoi protagonisti.

A differenza della première dello scorso anno, che ci portò nel frastornante e magmatico universo cinematografico di Gaspar Noé con il suo acclamato Climax, It Comes risulta a tratti noioso, a causa di un racconto troppo lungo e spezzato nella narrazione; anziché generare interesse, crea una baraonda di eventi, a volte gratuiti, al limite del non-sense, che diventa di fatto l’unico elemento capace di strappare un sorriso al pubblico.

In breve, It Comes sembra una parodia di una pubblicità Ikea, dai toni caldi e familiari, che si trasforma, molto lentamente e con molte storture, in uno spettacolo horror-trash che strizza l’occhio a Shining (tutto il sangue nell’appartamento, ma anche l’infermiera aperta in due, in un rapido flashback, nella stessa posizione di una delle gemelline di Kubrick) per concludersi con un esorcismo giapponese: una pratica corale che ha bisogno dell’aiuto e del sacrificio di molti per compiersi… ma soprattutto di una medium che sembra uscita dal mondo di Kill Bill, per la determinazione femminile e le cicatrici, e da quello di Matrix, per gli abiti neri, gli occhiali a lenti scure e la frangia nera che sfoggia.

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