“THE BAREFOOT EMPEROR” DI JESSICA WOODWORTH E PETER BROSENS

Dopo King of the Belgians (2016), re Nicolas III (Peter Van den Begin) torna in un sequel non convenzionale diretto da Jessica Woodworth e Peter Brosens, che tornano a parlare della crisi di identità europea e a fare satira sui poteri forti in The Barefoot Emperor. Il sovrano che aveva attraversato l’Europa per cercare di tornare nel suo Belgio, scisso dopo un colpo di stato da parte dai valloni, ora deve confrontarsi con un nuovo surreale spettro: lo scioglimento del parlamento europeo e l’incoronazione di un imperatore della Nova Europa. 

Questo secondo film non era previsto, ma i registi hanno deciso di tornare a parlare del re mentre soggiornavano sulle Isole Brioni, nella ex residenza del dittatore Tito, dove si svolge tutta la vicenda. Rispetto a King of the Belgians, un road movie narrato come un  mockumentary, in cui il re viaggiava dalla Turchia fino alla Croazia tra mascheramenti e disavventure scoprendo la grande diversità dei Balcani, questo nuovo lavoro si basa invece sulla tensione dell’immobilità. Il sequel ricomincia esattamente dove si era concluso il precedente film: il re e il suo staff sono scortati a Sarajevo per essere prelevati dalla security belga ma, mentre stanno attraversando una commemorazione dell’assassinio dell’Arciduca Ferdinando, il re viene colpito da un proiettile. In questa prima scena è condensato l’intento del film: quello di parlare della politica attuale attraverso un parallelo con il passato, con uno sguardo rispettoso e curioso attivato dall’insoddisfazione per ciò che è l’Europa oggi.

Non si tratta di una satira schietta, bensì di un’espressione di spaesamento che sfocia nel surreale. Rispetto all’opera precedente, qui prevalgono le inquadrature statiche e i campi lunghi, mentre la luce abbacinante e gli spazi vuoti tra le figure denotano uno stato di snervante attesa. Tutta l’azione si concentra al di fuori dell’isola dove il re è ricoverato, luogo rivelato solo attraverso le conversazioni al telefono ma reso concreto dal gioco di fantapolitica che compie il direttore del sanatorio (Udo Kier). Egli assegna infatti ai pazienti i vari paesi europei o i nomi degli illustri ospiti di Tito, da Gandhi ad Arafat fino ad Elizabeth Taylor, nome affidato al personaggio di Geraldine Chaplin. Il tutto sotto lo sguardo di re Nicolas che, ancora alla ricerca di se stesso e attanagliato dal senso di responsabilità e armato un risoluto desiderio di giustizia, sembra l’unico in grado di cambiare le cose con umiltà e arguzia.

Arianna Vietina

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