“VOLEVO NASCONDERMI” DI GIORGIO DIRITTI

Nell’Italia del primo dopoguerra, uno spettro si aggira per le campagne emiliane: vive in cascine abbandonate dove soffre il freddo e la fame; schiva la presenza umana in ogni sua forma; elabora composizioni pittoriche dal carattere primitivo, servendosi soltanto degli strumenti che la natura gli mette a disposizione. Questo spettro ha un’età e un nome: Antonio Ligabue, 20 anni, nato e cresciuto in Svizzera e in seguito estradato in Italia.

Nonostante il nome (la madre naturale era originaria del Veneto), Antonio non capisce e non parla una parola di italiano, e viene puntualmente scacciato e deriso dagli abitanti di Gualtieri, nella provincia di Reggio-Emilia (città natale del patrigno), per i suoi modi, il suo aspetto e per la sua incapacità di comunicare.

Dopo dieci anni di questa vita da esiliato, Antonio viene salvato da un pittore locale, che lo ospita in casa e lo sprona a mettere a frutto il suo talento per la pittura prestandogli le sue tele e le sue tempere: è l’inizio di una carriera che si chiuderà nel 1965, anno della morte di Ligabue.

“Il quadro è lì, che altro c’è da dire?”, domanda stizzito il pittore emiliano a un giornalista durante una delle sue prime esposizioni. E pare essere questo lo spirito che anima Volevo nascondermi, ultima pellicola di Giorgio Diritti: l’artista e l’uomo sono lì, cos’altro c’è da aggiungere?

Uno spirito che viene rispettato solo in parte: se è infatti vero che la vita interiore dell’artista – un uomo dalla sensibilità molto acuta e potente ma ancorata a uno stadio larvale, che fa sì che egli si rapporti meglio con gli animali che dipinge che non con le persone – è rappresentata con discrezione e regala momenti di una certa intensità, è anche vero che il regista, probabilmente a favor di pubblico, non resiste a cedere a un biografismo quasi didascalico; limite che emerge soprattutto nella prima parte del film, e nella superficiale sequenza di immagini in flashback dell’infanzia del pittore che pare una sorta di riassunto delle puntate precedenti.

Una maggiore attenzione alle coordinate temporali sarebbe stata invece utile a scandire più nitidamente i tempi della vita adulta del pittore, perché per quanto i colori della assolata campagna emiliana siano suadenti (bellissima la fotografia di Matteo Cocco), non è mai chiaro se ci si trovi nell’Emilia fascista e in quella degli anni Sessanta.

Nonostante alcuni difetti, Volevo nascondermi rimane un buon film, con una virtuosistica interpretazione del protagonista Elio Germano (premiato con l’Orso d’argento al Festival di Berlino come migliore attore), che sicuramente contribuirà a far scoprire a un pubblico più ampio il talento del pittore svizzero-emiliano. Spesso paragonato a Van Gogh per la tecnica e la vicenda esistenziale, Ligabue, come mostra il film di Diritti, non ha però dovuto aspettare la morte per ottenere un riconoscimento critico e soprattutto economico, e lo stesso fascismo non pare averne ostacolato più di tanto la carriera. E dunque il mito del “Ligabue emarginato” è vero solo a metà.

Alessandro Pomati

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