“ATLANTIQUE” DI MATI DIOP

“Il mare è amaro”, sentenziava uno dei personaggi de La terra trema di Luchino Visconti. E pare essere questo il leitmotiv che scandisce Atlantique, lungometraggio d’esordio dell’attrice francese Mati Diop, premiato allo scorso Festival di Cannes con il Gran Premio della Giuria.

L’azione si svolge a Dakar, capitale del Senegal: una torre dalle linee architettoniche ultramoderne svetta alta e ingombrante sulla città, avvolta nella nebbia dell’Oceano Atlantico. Alla base dell’edificio, un gruppo di operai lavora al complesso abitativo che dovrà sorgere attorno a esso. Uno di questi, Souleiman, ha una relazione clandestina con Ada, promessa sposa a Omar, l’imprenditore che ha dato vita al progetto della torre.

Tuttavia le condizioni di sfruttamento a cui Souleiman e gli altri operai sono sottoposti dai capi dell’impresa edilizia non sono più tollerabili e, senza informare la ragazza, il giovane decide di prendere il mare insieme a un manipolo di colleghi e tentare la fortuna in Spagna. Ada si ritrova quindi incastrata tra la prospettiva di un matrimonio senza amore e quella di finire in mezzo a una strada, ripudiata dai famigliari.

Sin dalle prime immagini, risulta evidente quanto Atlantique sia un film che si nutre di contrasti: poco distante dal cantiere dalla moderna torre, un pastore fa pascolare una mandria di buoi; il matrimonio tra Ada e Omar viene celebrato in un albergo elegante, dove però gli accordi matrimoniali vengono discussi dagli uomini delle due famiglie, mentre le le donne stanno a debita distanza e rigorosamente in silenzio; le case dello slum dove vivono Ada e le sue amiche, benché prive dei beni di prima necessità, sono popolate da i-phone, profumi di marca, occhiali da sole e abiti griffati. Una sola cosa rimane immutata e costante: il mare, l’Oceano Atlantico che divora la barca di Souleiman e degli altri operai, i cui spiriti prendono possesso dei corpi delle amiche di Ada per andare a tormentare i loro capi e reclamare i soldi degli stipendi mai consegnati.

Ed è proprio l’elemento sovrannaturale a stonare rispetto al resto della pellicola: se sviluppata avrebbe anche potuto risultare una chiave interessante, ma Diop non vi si sofferma come dovrebbe, sacrificando così la spinta più polemica della pellicola.

Ciononostante, il film riesce comunque a intrattenere e a essere talvolta seducente, complici una fotografia divisa tra i toni nebbiosi dell’Oceano e quelli afosi della metropoli africana e una colonna sonora a tratti straniante.

Alessandro Pomati

Il film è disponibile su Netflix (abbonamento)

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