“FUNNY FACE” DI TIM SUTTON

Funny Face si apre con il primo piano di Saul (Cosmo Jarvis), un ragazzo introverso di Coney Island, che guarda in macchina indossando una maschera dal sorriso grottesco. Come Joker, anche il protagonista del nuovo film di Tim Sutton è un reietto che brama vendetta per torti subiti. La maschera instaura così un dialogo diretto con l’iconologia pop che, a partire dall’ultimo film di Todd Phillips (Joker, 2019), ha reso quel sorriso un simbolo di oppressione.

A riportare coi piedi per terra il protagonista è Zama (Dela Meskienyar), una ragazza musulmana in fuga da una famiglia che la rimprovera di essere “troppo occidentale”. La loro relazione richiama i classici del genere “amanti in fuga”, in cui l’amore si presenta come l’unica ancora di salvezza in una realtà soffocante, che non dà possilità di riscatto agli emarginati, sullo sfondo di una New York al crepuscolo. Ma lo sbocciare dell’amore al tramonto sembra voler mettere in scena la fine di una relazione, piuttosto che l’inizio.

La New York di Funny Face è uno spazio urbano labirintico in cui si intrecciano le vicende della coppia protagonista con quelle di un ricco speculatore edilizio (Jonny Lee Miller), che ha sfrattato i nonni di Saul per la costruzione di un inutile parcheggio. “Questa città non si preoccupa dei perdenti! Si preoccupa solo dei soldi!” urla a squarciagola il protagonista, nel mezzo di una crisi di nervi. La ragione di questa rabbia nasce dal momento in cui la squadra di pallacanestro per cui tifa, i Knicks, perdono contro i Nets, gli stessi che per la costruzione del loro stadio hanno causato lo smantellamento di un quartiere di Brooklyn, costringendo centinaia di abitanti a lasciare la propria dimora.

Come in Taxi Driver (Martin Scorsese, 1976), Funny Face sembra muoversi verso un epilogo tragico con consapevole rassegnazione. La colonna sonora, composta da brani di musica elettronica, contribuisce a creare atmosfere allucinate e claustrofobiche, tipiche di un noir newyorkese. Allo stesso modo, la fotografia si tinge di colori cupi. Tutto concorre a presagire un disastro imminente. Eppure, la vendetta bramata dal protagonista finisce per non consumarsi, perché la tragedia, quella vera, ha già avuto luogo con la gentrificazione e la speculazione edilizia che hanno causato la crisi di interi quartieri. E non è un caso se nel finale sia il ricco antagonista a indossare la maschera e a guardare in macchina, come a volerci rammentare che è lui la causa di quel sorriso sarcastico. Se l’intento di Joker era quello di mostrarci qual è il volto degli oppressi, Funny Face ci ricorda chi è l’oppressore.

Fabio Bertolotto

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