“NOTRE ENDROIT SILENCIEUX” DI ELITZA GUEORGUIEVA

Aliona Gloukhova arriva in Francia con l’intento di disimparare la sua lingua d’origine, il bielorusso, per trovare, nell’acquisizione del nuovo idioma, quella autenticità scarna e quel distacco di cui ha bisogno per raccontare della scomparsa di suo padre, di un lutto che non è fino in fondo tale. L’indeterminatezza di una lingua sconosciuta come unico mezzo per restituire l’indeterminatezza di un evento o l’assenza.

Il documentario, presentato nella selezione ufficiale di Visions du Réel, nasce dall’ esigenza della regista bulgara Elitza Gueorguieva di seguire con la sua macchina da presa una ragazza conosciuta in un gruppo di scrittura per stranieri, nel suo percorso di ricerca intima ed emotiva. Il senso di questo atto creativo trascende la ricostruzione dell’avvenimento in sé, per soffermarsi invece sul filtro soggettivo con cui l’improvvisa sparizione del padre viene vissuta da lei e dalla sua famiglia.

La voce calma e accogliente di Aliona che legge degli estratti dal romanzo in cui raccoglie questa esperienza, prende lo spettatore per mano e lo accompagna nel suo mondo interiore, nella sua lotta contro il tempo e la dimenticanza che divora quei frammenti che lei faticosamente cerca di trattenere nella propria mente. Più forte è il desiderio di agguantarli, più questi appaiono sfuggenti e sfocati, tanto che diventa difficile persino riconoscerne lo statuto: sono ricordi o racconti interiorizzati a tal punto da sembrare di possederli?

Questo senso di fragilità e di evanescenza è visivamente traslato da dei brevi décadrage, degli scarti della macchina da presa che virano da un lato, decentrando Aliona per inserirla, poco dopo, nuovamente nel quadro; o ancora dagli evidenti momenti di messa a fuoco, sbavature solitamente corrette e qui invece mantenute, quasi a rimarcare che la messa a fuoco emotiva dei ricordi e dei sentimenti procede di pari passo a quella fisica della fotocamera.

Alla voce di Aliona fanno da controcanto le scritte delle domande che la regista le pone. Il suo sguardo esterno e attento è tale da farle formulare interrogativi incalzanti e puntuali che mettono Aliona con le spalle al muro – come è spesso ritratta –, portandola a confrontarsi con aspetti della sua storia di cui nemmeno lei ha piena contezza, come la continua erranza dei membri della famiglia al padre, che è sparito proprio in un viaggio, al largo della Costa turca per sfuggire alla dittatura comunista.

Oltre l’erranza, la scrittura quale maieutica e i quesiti irrisolti, ad assumere un ruolo di rilievo è infine l’acqua, le cui variegate rappresentazioni fungono da contrappunto visivo al racconto. Nonostante la sua valenza drammatica, questa esercita una forza attrattiva su Aliona: ol padre è morto tra le onde, ma come se solo lì potesse vivere.

Valentina Velardi

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