“SWAN SONG” DI TODD STEPHENS

Una biografia raccontata come un road movie, percorso a piedi.
Ciò che colpisce di Swan Song di Todd Stephens è la volontà di narrare la vita di un uomo, o meglio di un’icona della bellezza, nell’arco di una giornata della sua vecchiaia. Pat è stato infatti un celebre parrucchiere nella sua cittadina, Sandusky in Ohio, ma si trova a vivere da tempo in una casa di riposo, dove lotta per restare fedele a se stesso. La morte di una vecchia e ricca cliente, che ha richiesto nel suo testamento di essere acconciata da lui prima di essere sepolta, lo spinge al confronto con il suo passato, con le delusioni ricevute e con la tragica fine della sua relazione con il compagno David, scomparso a causa dell’AIDS.

Pat decide di evadere dalla casa di riposo e percorrere a piedi i desolati spazi della periferia, procacciandosi il necessario grazie al proprio charme e alla propria acuta intelligenza. Il film affronta numerose questioni: non solo la ricerca di uno spazio di espressione della propria sessualità, ma anche quanto il nostro mestiere sia parte della nostra identità e presenza o, ancora, l’importanza di un dialogo intergenerazionale. Pat viene dagli anni ’70 dei gay bar e della lacca tossica, e incontra un mondo più libero, dove viene accompagnato da tutti con ironia, dolcezza e nostalgia, attraversando una cittadina provinciale che non ci saremmo aspettati così accogliente.

Infatti il film è privo di scontri esterni al personaggio, che vive invece una sofferenza interiore legata alla scomparsa di persone care e a conflitti mai risolti. E questo sbilanciamento rende sempre più evidente una certa ingenuità nella costruzione del racconto. Il film enfatizza alcune scene a svantaggio dello sviluppo generale e, conseguentemente, dell’empatia dello spettatore. Lodevole l’intento di valorizzare una figura di ispirazione, cercando di combinare i tanti elementi di cui sopra, ma Swan Song ha alcune sbavature. L’interpretazione di Udo Kier tiene in piedi la storia, fatta di incontri fuggevoli con personaggi molto meno riusciti del suo, all’interno di un film ambizioso ma impreciso, che cede alla tentazione del cliché e della sovracostruzione delle immagini o all’uso barocco della musica. Il film ha comunque conquistato la giuria del Lovers Film Festival che l’ha premiato come Miglior Film.

Resta l’incredibile lavoro fatto sottopelle da Kier, che incarna il personaggio con divertita arroganza, riuscendo a rendere magnetici e spontanei i gesti, la camminata e il tono rigoroso con cui assesta le battute accompagnandole con uno sguardo seducente.

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