“GROSSE FREIHEIT” DI SEBASTIAN MEISE

Un fiammifero che si accende nella completa oscurità. Questo è il simbolo su cui si regge Grosse Freiheit / Great Freedom, film diretto da Sebastian Meise in concorso al Torino Film Festival, che a Cannes ha vinto il Premio della Giuria nella sezione Un Certain Regard, e che verrà presentato dall’Austria come candidato agli Oscar 2022. Sguardi mantenuti nel tempo e tocchi evidenziati da inquadrature ravvicinate scandiscono il film del regista austriaco, insieme a sentimenti espressi tramite passaggi di sigarette, messaggi nascosti nelle pagine forellate di una Bibbia e parole taciute. 

Il film segue la vita difficile di Hans Hoffmann (Franz Rogowski), che porterà con sé per tutta l’esistenza lo stigma del paragrafo 175 del codice penale tedesco, in vigore dal 1871 al 1994 nella Germania Ovest, dove il film è ambientato. Il paragrafo, criminalizzando l’omosessualità, causa infatti più volte l’imprigionamento di Hans dagli anni della Seconda Guerra Mondiale, quando appena ragazzo viene internato in un campo di concentramento, al 1968, anno in cui il film ha inizio. Il luogo chiuso del carcere domina lo schermo per la maggior parte del tempo, incasellando costantemente il protagonista in riquadri artificiali ed opprimenti. Le poche scene non ambientate in prigione corrispondono ai pochi momenti di libertà passati che Hans cerca costantemente di riconquistare, attraverso i tentativi di portare avanti storie d’amore che si rivelano irrealizzabili e premurandosi di tenere aperte le finestre, in cella, per far entrare all’interno la luce proveniente dal mondo esterno. L’unica relazione che sembra durare negli anni è quella con Viktor (Georg Friedrich), la prima persona che Hans conosce in carcere, una relazione in cui l’astio e la diffidenza iniziale man mano si trasformano in qualcosa di cui entrambi necessitano in un luogo violento e alienante come quello che vivono.

Per tutto il film, Hans crede nel bisogno di donare se stesso pur di far felice l’uomo che ama e non può che assecondare questo bisogno anche quando, alla fine, dovrà fare i conti con la verità: come sarà la vita una volta trovata la libertà? sarà in grado di sentirsi libero fuori?

La storia dolorosa e personale di Hans fa emergere un lato importante della nostra storia collettiva, troppo spesso relegato in secondo piano. Sebastian Meise, con il suo personaggio, punta così i riflettori su una ferita ancora aperta dell’umanità, e tristemente impossibile da risanare completamente.

Giulia Seccia

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