“Memorie – In viaggio verso Auschwitz” di Danilo Monte

Danilo, regista e protagonista, in occasione del 30° compleanno del fratello Roberto, appassionato di Seconda Guerra Mondiale, decide di regalargli un viaggio per un posto in cui sarebbe sempre voluto andare: Auschwitz. Un viaggio di riconciliazione tra i due fratelli, il cui rapporto si è rotto nel momento in cui Roberto ha intrapreso la strada della tossicodipendenza e dell’alcolismo, passando tra carceri, comunità e reparti psichiatrici.

Lo spettatore sale sul treno insieme ai due protagonisti che impiegano qualche giorno per arrivare alla meta.  Si assiste al dialogo privato tra due fratelli che non si parlano da tempo, piangono, litigano e si riappacificano. Da una parte il “buono”, Danilo, che ha sofferto nel vedere i genitori e il fratello disperati e che si è creato come scudo un bagaglio di principi; dall’altra il “cattivo”, Roberto, che a causa della sua vita trasgressiva ha sfasciato la sua esistenza e quella delle persone che lo circondano.  A volte gli animi si accendono così tanto che sembra che il viaggio possa interrompersi. Roberto, tenendo sempre in mano una bottiglia di birra, si sente solo, senza un amico, senza un amore e non accetta la supponenza del fratello privilegiato che pretende di dare dei giudizi. A causa di tutte le esperienze passate è incapace di agire. “Se bisogna fare fatica io non sono capace”: questo è un momento di cedimento di un uomo apparentemente forte che nel suo vittimismo pensa di non dover porgere delle scuse alla famiglia perché i genitori lo hanno fatto così e lui così è cresciuto. Danilo non può accettare queste parole, in passato ha provato a ospitarlo nella propria casa ma quando ha ricominciato a frequentare brutti ambienti e a rubare nella casa dei genitori non ha accettato di abbandonare i propri principi e ha preferito creare una barriera tra se stesso e il fratello.

Con questo viaggio vorrebbero entrambi che il muro tra di loro cadesse e forse qualcosa di positivo succede. La scritta “Arbeit macht frei” li accoglie e già all’ingresso del Lager c’è un cambiamento nei pensieri di Roberto. Per la prima volta non pensa ai suoi problemi, camminando tra forni crematori e camere a gas si sente osservato dalle anime di chi è morto lì e sembrano rimproverarlo.

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Il documentario ha uno scopo terapeutico in primis per Danilo, che vuole recuperare il rapporto con Roberto. Lo stile di ripresa è nevrotico e con continui movimenti della videocamera, come se l’operatore fosse un bambino alle prime armi tanto da lasciarla talvolta accesa per sbaglio. Molto interessante è la funzione dei filmini di famiglia, alcuni dei quali sono stati realizzati negli anni ’90 (comunioni, compleanni e diplomi) e altri al giorno d’oggi: dal loro confronto si capiscono i cambiamenti subiti dalla famiglia nel corso degli anni.

Danilo avrebbe voluto non riprendere mai il fratello, ma quest’idea si è rivelata impraticabile. Roberto ha accettato la sfida, ha accettato di apparire in video e di parlare di sé. È stato quasi più difficile per Danilo, in veste di regista e coprotagonista, non pensare alla macchina da presa.

Roberto, presente in sala al momento della proiezione, ha commosso il pubblico dicendo: “Il regalo è iniziato il 23 maggio e sta ancora continuando”. Andare al TFF e presentare il suo lavoro è stato come entrare in sala nudo, ammette Danilo, spogliato di tutti i segreti di famiglia.

Si tratta di un film su un viaggio di andata. E quello di ritorno? Magari lo vedremo alla prossima edizione del Festival.

 

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