“DA LONTANO, PIÙ FORTE” DI ANNAMARIA MACRIPÒ

“Quanto costa evocare un dolore visto che cancellarlo non si può?” Se è vero che una fotografia ferma un istante per sempre, Da lontano, più forte è un viaggio costellato di istanti, di ricordi e di parole che stravolge il tema del cosiddetto “superamento del lutto”, dandogli un nuovo, più completo significato. La regista Annamaria Macripò ci accompagna in un universo personale e intimo alla scoperta di un diario lungo vent’anni (dal 1998 al 2018), colmo di immagini e pensieri legati alla malattia e poi alla scomparsa della madre. Si tratta di un vero e proprio accoglimento del dolore, prima parola chiave di questo viaggio, un’acquisizione di esso come proprio, fino in fondo.

In questo documentario si entra con delicatezza, dicendo “permesso” proprio come quando si entra in casa d’altri per la prima volta. Non a caso, è ciò che stiamo facendo: che cos’è il ricordo intenso di una madre se non una casa? Un viso gentile appare nelle fotografie che si susseguono e che ci mostrano in pochi secondi il progredire di una vita “normale, senza grandi opere da vantare” ma, evidentemente, significativa. In un insieme sorprendentemente omogeneo di fotografie ingiallite dal tempo e video girati con il cellulare, assistiamo a un processo che non è un’elaborazione del lutto, bensì accettazione di esso, ché il lutto è immobile, non muta e perde solo la propria emotività.

Le parole del diario, talvolta abbinate a quelle di David Maria Turoldo e a quelle di Roland Barthes, vengono narrate da Martina Pittarello e Marco Artusi, in modo tale da farci immergere in quelle giornate, in quelle date appartenenti a un passato che così passato non è. Il susseguirsi degli anni è illustrato su due fronti. Da una parte, tramite i titoli di giornale di quel tempo, che ci pongono davanti a eventi storici che tutti ricordiamo o conosciamo. Dall’altra, tramite il diario, gli eventi personali e familiari, piccoli non perché insignificanti, ma solo in quanto privati. Forse è proprio la loro condivisione a renderli altrettanto importanti.

Ci è permesso di vedere e sentire una donna che fisicamente non c’è più ma che sembra essere spiritualmente ovunque, non solo per chi l’ha amata e così la racconta, ma anche per chi si affaccia alla sua storia per la prima volta. Come può questo definirsi “superamento”? Come si può superare una presenza che persiste e che una volta condivisa con gli altri si moltiplica? Da lontano, più forte illustra proprio questo: la presenza vitale di una donna che si manifesta nelle parole, nei pensieri, nelle immagini e addirittura nei sogni, una madre che vive nella figlia e che di conseguenza “è”. L’obiettivo del film è a dir poco ambizioso ma senza dubbio raggiunto: alla fine ci accorgiamo di aver in qualche modo conosciuto quella donna, di averla percepita, come la regista, da lontano, più forte.

Alice Ferro

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