“Dark River” di Clio Barnard

Clio Barnard scrive e dirige Dark River, un film su traumi del passato mai esorcizzati che tormentano Alice (Ruth Wilson) nel momento del ritorno alla fattoria di famiglia dopo quindici anni di assenza e la recente morte del padre Richard. Qui a (non) accoglierla c’è il fratello Joe (Mark Stanley), che mette in chiaro da subito di non averla perdonata per non essere tornata prima nonostante le continue richieste del capofamiglia; entrambi, per ragioni diverse, puntano ad ottenere l’affitto della terra e i loro progetti per la fattoria sembrano inconciliabili.

Alice è una donna forte ed indipendente che si muove con naturalezza in un ambiente prevalentemente maschile ma dal primo momento in cui mette piede nella casa d’infanzia affiora il suo lato fragile ed insicuro. È tormentata da apparizioni di Richard (interpretato da Sean Bean) e da flash di momenti dell’adolescenza passati con lui, il fratello e l’amico David; il film suggerisce da subito che ci sia stato molto di non detto in quegli anni, ed è facile intuire quale fosse il rapporto tra la ragazza e il padre ma il film aspetta una delle ultime scene per svelarlo esplicitamente. Alice ha scelto fino a quel momento di nascondere a sé stessa quello che le è successo dietro al lavoro continuo e ad una vita sempre in viaggio dedicata alla tosatura delle pecore; è dolce e delicata con gli animali, mentre Joe ci viene mostrato più volte trattarli con durezza ed è confuso e addolorato dall’improvvisa solitudine seguita alla morte del padre. Entrambi sembrano rifiutare qualsiasi altro contatto umano.

 

In immediato contrasto con la fattoria e il terreno che la circonda, un apparente luogo di calma e pace interrotte solo dal belare delle pecore, ci sono il tormento interiore della protagonista e il trambusto provocato dal suo ritorno; Ruth Wilson è efficace nell’interpretare una donna ritrovatasi in una situazione di grande crisi ma il film, forse per non scadere in facili sentimentalismi, non riesce fino in fondo a renderci partecipi del suo dolore.

Dark River, ispirato al romanzo Trespass, fa quindi un buon lavoro nell’affrontare con delicatezza una tematica difficile, risparmiando allo spettatore i dettagli più crudi e ovvi, ma nonostante l’ottimo cast non raggiunge la potenza emotiva a cui probabilmente puntava – forse anche a causa del finale, in cui troviamo due delle scene più convincenti ma che risulta un po’ affrettato.

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