OBSCURO BARROCO DI EVANGELIA KRANIOTI

Prima di essere corpo, la presenza è voce. Prima della carne, il verbo. Profonda ed oscura, fluttua acusmatica come una presenza ancestrale e primitiva; va creandosi, scoprendosi, in un processo naturale che comincia nelle profondità della terra, nel nucleo intimo e segreto, nell’umidità di una foresta amazzonica sotto la pioggia battente: “Io mi sto creando. E cammino nella completa oscurità alla ricerca del nostro sé. […] Nascita, morte, nascita. Come il respiro del mondo”.  Obscuro Barroco di Evangelia Kranioti comincia incantando  con una voce ammaliante, senza sesso, che trascina delicatamente  lo spettatore nella propria dimensione.

Sulla carta, un docu-film sul Carnevale di Rio e sulle figure che lo popolano, in primis quelle transgender; sullo schermo molto di più: un’esperienza immersiva fatta di suoni e immagini barocche, caravaggesche, che emergono dal buio come luce concreta, materiale. La voce di Luisa Muniz, scomparsa lo scorso anno e a cui il film è dedicato, scandisce un semplice andamento narrativo, dal tramonto all’alba, dove il Carnevale e tutti i suoi luoghi notturni diventano un laboratorio di trasfigurazione, un esperimento magico. All’essere umano è restituito il diritto di scoprirsi, crearsi ed affermarsi secondo le forme ritenute più congeniali, anche forme nuove e sconosciute, se necessario. Rio de Janeiro è personaggio tanto quanto gli umani che la popolano, la vediamo ancora prima che la voce narrante si configuri nel corpo di Luisa Muniz, donna transgender, attivista e perfomer. Il suo è un corpo in costante evoluzione, un corpo di ossimori, di ideale bellezza femminile trasformata in kitsch perturbante, ma comunque teso al raggiungimento della perfetta corrispondenza tra il dentro ed il fuori, il sé e l’apparenza di sé.

Il transessualismo diventa quindi la metafora di questo potere dell’uomo di poter intervenire sul proprio aspetto – sia permanentemente ricorrendo alla chirurgia estetica, sia “temporaneamente” come nei costumi del carnevale – per affermarsi come individuo e come comunità. E poiché l’uomo è detentore di questo potere, è innalzato al grado di “dio”. La macchina da presa si immerge nel vivo dell’azione, spogliando il Carnevale di Rio della sua classica rappresentazione come attrazione per turisti e restituendoci dettagli e corpi in una frammentazione dell’essere umano mitico, biblico: “In quella oscurità, i fiori si intrecciano in un giardino umido e fatato come voluminosi corpi nudi di donne forti e serpenti.”

Fanno parte di questo universo anche la violenza, il dolore ed il sangue: sono parti integranti del percorso individuale, ma sono soprattutto una dura realtà dal punto di vista politico e sociale in un paese come il Brasile dove il tasso di crimini d’odio legati alla transfobia e all’omofobia è altissimo. La regista decide di non mostrare esplicitamente questi aspetti, ma di sublimarli nelle immagini di grandi costruzioni di carta pesta abbandonate, decadenti: “E’ una vita di una violenza magica. Misteriosa e affascinante.” La violenza e la bruttezza sono riportate alla loro radice umana e per questo divina.

Infine, la colonna sonora partecipa della poetica del film amplificando il contenuto delle immagini e del testo. Non mancano la samba tradizionale, il più moderno funk carioca ma, concepito per la tecnologia IMAX, di Obscuro Barroco colpisce la musica ambient elettronica, un paesaggio sonoro imponente e stregato quando è il suono dell’oscurità primordiale, intimo e confortevole, quando ci mette in relazione con l’intimità consolante della condizione umana.

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