“WILDLIFE” di PAUL DANO

C’è chi se lo ricorda silenzioso e imbronciato, nascosto dietro un folto ciuffo di capelli neri in Little Miss Sunshine, o nei panni di uno scrittore in crisi che s’innamora di uno dei suoi personaggi in Ruby Sparks; per i più cinefili, è anche un attore soffocato dal peso di una carriera nata e finita nei blockbuster in Youth – La giovinezza e, per i più curiosi, il migliore amico di un cadavere con i super poteri nell’eccentrico Swiss Army Man. Insomma, di film Paul Dano ne ha fatti parecchi, lavorando con registi del calibro di Paul Thomas Anderson, Ang Lee, Steve McQueen, Paolo Sorrentino, Denis Villeneuve. Ed è importante tenerne conto se si ha davanti l’opera prima di un trentaquattrenne che, dopo anni di recitazione di un certo livello, decide di misurarsi con la regia.

Wildlife – in concorso al TFF36 – è il racconto lento e trasparente dell’implosione di una famiglia americana trasferitasi in Montana.

La trama è semplice: Jerry è padre e marito, perde il lavoro e decide di arruolarsi tra i volontari che partono per domare il violento incendio propagatosi al confine del paese; Jeanette è moglie e madre, ma soprattutto donna insoddisfatta, in equilibrio precario tra il voler soffocare le proprie ambizioni e il bisogno di rinfacciarle capricciosamente al marito; Joe è un quattordicenne silenzioso ma attento, àncora e sostegno per madre e padre, disilluso da una vita che lo vuole adulto prima del tempo.

Paul Dano racconta di una storia comune, di come un uomo necessiti del lavoro per riconoscersi come tale, di come una donna sia spinta a negare se stessa e a tradire il marito per non sentirsi incompleta o, ancora, di come l’imperfezione dei genitori sia forse la verità più complessa da accettare per un adolescente. Tra colori desaturati, dialoghi che scivolano fluidi ma sempre attenti e calibrati, una recitazione all’altezza del dramma che si sta raccontando (Jake Gyllenhaal e Carey Mulligan complementari e impeccabili) e la perfezione dei silenzi che riempiono ogni scena meglio di qualsiasi colonna sonora, Wildlife racconta la storia di una decostruzione – della famiglia nel suo complesso, così come dei singoli componenti – senza inutili virtuosismi: i vuoti (di suono, parole e colore) soppesano i pieni secondo un equilibrio magistralmente riuscito e il dramma scivola lento tra le pieghe distorte del tessuto famigliare e delle relazioni interpersonali. Sul finale è una fotografia a sancire il fallimento della ricostruzione del quadro famigliare auspicata da Joe: i pezzi si ricompongono solo davanti all’obiettivo, ma l’immagine che ne risulta è quella distorta di tre volti stanchi che non si riconoscono più.

Paul Dano riesce pienamente nel suo coraggioso primo tentativo alla regia: Wildlife è una diapositiva in lento movimento che restituisce la crisi dei rapporti umani e il caos selvaggio dei sentimenti che trasborda, travolge e annichilisce tutto, proprio come un incendio.

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