“RELAXER” DI JOEL POTRYKUS

Ci sono film facili da recensire e film difficili. Relaxer, dell’americano Joel Potrykus, si merita a pieno di entrare nella seconda categoria. Il film è sicuramente una delle esperienze più singolari ed eccentriche del Torino Film Festival: non solo commedia e dramma, ma anche fantascienza e gore – in maniera del tutto inaspettata – si uniscono in una miscela pronta a esplodere nell’evento più catastrofico fra tutti: l’Apocalisse.

L’incipit è racchiuso in una panoramica a 360 gradi, accompagnata da una poco rassicurante musica classica dal carattere epico, che ci conduce alla fine degli anni ’90, nell’appartamento dei due fratelli Abbie (Joshua Burge) e Cam (David Dastmalchian).

Il rapporto fraterno non è quello ordinario: Abbie ha chiaramente paura delle responsabilità che la maturità porta con sé e, per questo motivo, non riesce a portare a conclusione nessun progetto né, tanto meno, le sfide di carattere infantile che Cam gli propone. Abbie decide però di prendere finalmente in mano la sua vita, accettando le condizioni della curiosa sfida finale: arrivare all’ignobile livello 257 di PacMan senza mai muoversi dal divano, neanche per espletare i propri bisogni fisiologici. Cam abbandona l’appartamento con la promessa di tornare senza avvisare, cosi da mettere in guardia il fratello.

Abbie (Joshua Burge)  in “Relaxer” di Joel Potrykus, 2018

La claustrofobia del film è disarmante: le inquadrature sono lunghe, spesso fisse, con poche panoramiche che accentuano la limitatezza dello spazio e le condizioni di pressione psicologica cui è sottoposto Abbie. Tale pressione viene però smorzata da intermezzi comici: un amico che dovrebbe fornirgli  del cibo, un’infermiera portatrice di verità scomode, un uomo della disinfestazione che parla soltanto russo.

All’alba del nuovo giorno Abbie avrà vinto la sfida? Per scoprirlo non c’è altro da fare che guardare questo film e rimanere scioccati, ammaliati e attratti dal suo fascino cupo, misterioso ma strambamente divertente e ironico, capace di far tollerare un ambiente angusto, sporco e contemporaneamente di accompagnare lo spettatore in un viaggio atipico negli anni Novanta, immersi nella paura del Millennial Bug.

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