“Mirafiori Lunapark” di Stefano Di Polito

Tra fabbrica e fiaba

Mirafiori è un quartiere torinese celebre per le sue fabbriche e per la brulicante vita operaia negli anni ’60. Viene spesso associato al fenomeno del boom economico e dell’immigrazione dal Sud in un’epoca in cui era visto come una sorta di Eldorado.

Questo è il mondo dei tre protagonisti del film di Stefano Di Polito (nato e cresciuto a Mirafiori, che con Mirafiori Lunapark si aggiudica il Premio Cipputi di quest’anno): Carlo, Franco e Delfino, vecchi operai in pensione si definiscono parte di un solo corpo in cui uno è la testa, l’altro il braccio e l’ultimo il cuore.Quando arriva l’ordine di abbattere la fabbrica in cui loro hanno riversato tutti i sogni e le speranze per una vita migliore, decidono di armarsi di coraggio e antico spirito combattivo da autentici comunisti quali sono e occupano l’enorme edificio ormai abbandonato da anni.

Il loro intento finale non è tuttavia fine a se stesso, ma dovrebbe essere quello di creare un lunapark per i nipotini ai quali descrivono la loro vita da lavoratori come fosse una fiaba e quella fabbrica come il castello delle meraviglie dove ogni cosa sarebbe potuta accadere.
Il grandioso progetto non viene del tutto realizzato, ma dopo una serie di peripezie essi riescono ad avere una piccola rivincita giusto per un giorno.

La narrazione della vicenda è favolistica e quasi onirica,  il quartiere è rappresentato come un piccolo, seppur modesto, Paradiso e la colonna sonora aiuta questa atmosfera con musiche che evocano quelle delle giostre e dei carillon. Appaiono anche immagini di repertorio che ritraggono il lavoro in fabbrica, quasi a raffigurare la memoria dei protagonisti i quali vedono se stessi come parti di un unico organismo, la fabbrica.

Sia il produttore Mimmo Calopresti che il regista hanno riconosciuto in Conferenza stampa la forza di queste immagini di repertorio che mettono in risalto il gran movimento – anche ideologico – di quegli anni e di quei luoghi, che ai giorni nostri è quasi scomparso del tutto.
Il loro intento è stato quindi quello di mandare un messaggio di ottimismo e di poesia facendo giocare i bambini in mezzo alle macerie dell’ex classe operaia e nello stesso tempo di “rimproverare” la generazione di oggi che, al contrario di quella di ieri, non lotta per ottenere ciò che vuole.

I paradossi e i contrasti non mancano per tutto il film : si veda ad esempio la sequenza in cui il giovane Delfino dice al padre che leggere cento mail al giorno è più faticoso che stare otto ore in catena di montaggio, o quella in cui mentre vediamo immagini di catene di montaggio sentiamo la musichetta della giostrina rotante dei cavalli.

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