“For Some Inexplicable Reason” di Gábor Reisz

 

La commedia ungherese che non ti aspetti

Aron (Áron Szentesi), ventinovenne di Budapest, è il protagonista di For Some Inexplicable Reason, lungometraggio d’esordio del regista ungherese Gàbor Reisz, in concorso al 32°TFF.

Il giovane, neolaureato in cinema, non ha un lavoro e non sembra nemmeno troppo interessato a trovarne uno. Anzi, trascorre le giornate a struggersi per una recente storia d’amore miseramente fallita  e a fantasticare di morire così, accasciandosi improvvisamente sul ciglio della strada, sull’autobus, nei luoghi e nelle situazioni più impensabili. Ha due genitori forse troppo oppressivi (ma non senza ragione) e un gruppo di amici fedelissimi con cui condivide grandi bevute, tutti con una carriera o con dei figli.

Aron non sembra avere alcun’urgenza di uscire dalla sua impasse finché, dopo l’ennesima sbronza in compagnia dei suoi amici, in preda ai fumi dell’alcool, decide di comprare un biglietto per Lisbona. Sarà forse questa la svolta, il turning point, di cui ha bisogno il nostro protagonista?

for_some_inexplicable_reasonNel corso del film non succede niente di particolarmente eclatante, non assistiamo a colpi di scena inaspettati né a vertiginose successioni di eventi. Allo spettatore sembrerà anzi di essere stato risucchiato dall’apatia, dalla crisi esistenziale che ha colpito Aron. Ma questo nulla, così reale ed affine per molti aspetti a quello di molti giovani d’oggi, viene raccontato con un una freschezza di stile straordinaria.

Nonostante la disoccupazione giovanile e il fenomeno di emigrazione dei giovani neolaureati senza sbocchi né meta che si rifugiano all’estero per cercare di costruirsi un futuro migliore siano dei temi quanto mai attuali ed abusati nelle commedie degli ultimi anni, Reisz è in grado di affrontarli con brillante leggerezza, che molto ricorda l’umorismo fantasioso, fatto di siparietti onirici, dei più recenti film di Gondry. Il tutto raccontato con un ritmo che si avvicina ai migliori film indie a cui il cinema americano ci ha abituato, senza rinunciare alla sua identità europea, o meglio est-europea.

Attraverso un geniale utilizzo dei ralenti, dei tagli di montaggio e di stravolgimenti narrativi, assistiamo all’evoluzione del personaggio, modello dell’anti-eroe per eccellenza. Come trascinato da eventi che sfuggono al suo controllo, Aron arriverà a raggiungere la stabilità solo lontano dalla sua Budapest, da tutto ciò che ha rappresentato il suo passato, ritrovando se stesso paradossalmente in una terra aliena. Questo traguardo però coinciderà con il definitivo distacco dai suoi (spesso improbabili) sogni di gloria: non gli resta altro che abbandonarsi alla routine, svestire i panni trasandati di giovane ventinovenne per vestire quelli della stabilità lavorativa.

Commedia esistenziale e surreale, lascia in bocca quel gusto un po’ amaro di quando si smette di sognare.

 

 

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