“BEATS” DI BRIAN WELSH

Glasgow, 1994. È qui che il regista scozzese Brian Welsh decide di ambientare il suo quarto lungometraggio, Beats. In particolare, nei giorni in cui viene emanata un’ordinanza che vieta l’assembramento di più di venti persone che ascoltino musica caratterizzata da ritmi ripetitivi.

Il film si apre nelle rispettive stanze dei protagonisti, Spanner (Lorn Macdonald) e Johnno (Cristian Ortega), che danzano seguendo i “battiti” che escono all’impazzata dalla radio, sovrastando così il volume della televisione che sullo sfondo parla della nuova legge. I due, entrambi residenti nei sobborghi, si conoscono da sempre, ma purtroppo stanno per separarsi. Nonostante la loro grande amicizia, sono infatti molto diversi. Spanner è un ragazzo esuberante ma buono, che passa le sue giornate girando senza meta su un motorino malmesso. Vive con il fratello che è un piccolo spacciatore e per questo tutti quanti nel quartiere lo considerano una causa persa. Tutti ad eccezione di Johnno, timido e introverso, che lavora in un supermercato e vive con la madre, la sorella e il patrigno. Proprio la madre di Johnno decide di trasferirsi assieme alla famiglia in un nuovo quartiere residenziale, nel tentativo di assicurare ai figli un’istruzione e frequentazioni migliori.

Welsh sceglie il bianco e nero per rappresentare questo paesaggio periferico ricco di contrasti, al quale affianca una colonna sonora che ritmicamente segue le avventure dei due adolescenti, consapevoli che il trasloco di Johnno in qualche modo li dividerà. Grazie al vettore musicale il regista effettua un’analisi su una generazione che, tra scontri con la polizia, con le rispettive famiglie e sul posto di lavoro, riflette una profonda inquietudine riguardo al futuro e una irrefrenabile necessità di sentirsi libera dalle oppressioni politiche e sociali.

Ed è proprio così che Spanner convince Johnno a partecipare a un rave segreto, esortandolo a “uscire dalla gabbia” per coronare la loro amicizia con un’ultima folle notte. Raggiungendo il climax, la camera non diminuisce la sensibilità dedicata all’amicizia tra i protagonisti, toccando il momento della festa e delle droghe con l’onestà di chi queste situazioni, almeno una volta nella vita, le ha vissute. Così nel capannone, dove ogni battito è infinito, i protagonisti si liberano dalle loro inquietudini raggiungendo un’estasi affettiva, che culmina in un tenero abbraccio finale nel letto, il giorno dopo.

Lorenzo Radin

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