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“COMA” DI BERTRAND BONELLO

“Cara Anna, non è la prima volta che mi rivolgo a te in questo modo”. È con queste parole che inizia l’ultimo film di Bertrand Bonello, una lettera aperta piena di amore e sensibilità rivolta alla figlia adolescente. Il regista aveva già cercato di comunicare con la ragazza attraverso il suo cinema con Nocturama (2016), di cui compaiono alcune immagini all’inizio del film in un montaggio così confuso da trasformarne i fotogrammi in pura astrazione. Se lo sforzo di entrare in contatto con la figlia non era allora riuscito dato che lei non ha visto il film, Bonello ci riprova, realizzando un’opera più intima, personale e al contempo universale che si rivolge alla figlia ma anche alle nuove generazioni.

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“COMA” BY BERTRAND BONELLO

Article by: Fabio Bertolotto

Translated by: Laura Todeschini

‘Dear Anna, this is not the first time I have addressed you in this way’. It is with these words that Bertrand Bonello’s latest film begins. Words which pave the way to an open letter full of love and sensitivity addressed to his teenage daughter. The director had already tried to communicate with the girl through the cinema with Nocturama (2016). Some images of this film appear at the beginning of Coma in a confused montage that turns the frames into pure abstraction. The previous effort to get in touch with his daughter had been unsuccessful, since she had not seen the film. For this reason, Bonello tries again, making a more intimate, personal and, at the same time, universal work that addresses his daughter and also new generations.

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“FALCON LAKE” DI CHARLOTTE LE BON

Sono sulla riva del loro lago, quando Chloé (Sara Montpetit) chiede a Bastien (Joseph Engel) quale sia la sua più grande paura: il ragazzo sorride, scrolla le spalle e risponde che è masturbarsi di fronte a mamma e papà. Quando Chloé si confessa a sua volta, sta piangendo: «Credo che la mia più grande paura sia di sentirmi sola tutta la vita».

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Charlotte Le Bon, al suo esordio alla regia, scandaglia l’adolescenza mostrandola durante una parentesi estiva al lago. Per farlo, attinge a piene mani dalla graphic novel Una sorella (Bao Publishing, 2018) del francese Bastien Vivès, in cui vengono trattate le ambivalenze del desiderio giovanile al suo nascere. Falcon Lake si concentra sull’attrazione reciproca tra i due protagonisti. Lei, Chloé, è una sedicenne che si sforza di comportarsi da adulta anche quando vorrebbe solo darsi il tempo di cui ha bisogno. È forse proprio questo che la spinge a ricercare Bastien, di due anni più giovane di lei, apertamente inesperto e soggiogato dal fascino della ostentata e costruita sicurezza di lei. I due ragazzi sono immortalati nella loro più pura ingenuità, mentre scoprono, impacciati, uno il corpo dell’altra. Sullo sfondo del loro rapporto ci sono gli adulti veri e propri, i genitori. In Una sorella, Vivès non disegna mai i volti, perché quella non è la loro storia. Le Bon ripropone questa scelta nel suo linguaggio, quello cinematografico: i genitori sono relegati fuori campo, i visi non si vedono e rimangono soltanto le voci.

Nel finale, Le Bon, anche autrice della sceneggiatura, si discosta dall’opera su cui è basato il suo lungometraggio. La conclusione che ha scelto per il protagonista maschile è l’emblema dell’adolescenza in sé, rappresentata come un periodo della vita al confine tra la vita e la morte. «Ci sono fantasmi che non sanno di essere morti» e sono questi fantasmi, con i loro desideri, a popolare la giovinezza. I protagonisti vivono le loro esperienze in maniera assoluta e fatalista, senza l’elaborazione emotiva tipica di chi l’adolescenza l’ha già superata e ne è uscito indenne.

Falcon Lake non si allontana molto dai cliché narrativi del coming of age. Nonostante questo limite, la regista crea uno spazio di rigorosa rappresentazione in cui si alternano inquietudini e scoperte dell’adolescenza, dentro le quali lo spettatore può ritrovare se stesso e il proprio vissuto.

Marta Faggi

TORINO FILM FESTIVAL. THE 40TH EDITION

Article by: Davide Troncossi

Translated by: Benedetta Francesca De Rossi

With the presentation to the press of the Casa Torino Film Festival, the run-up to TFF40 came to an end. It will begin (screenings, events, masterclasses) on November 25th with the opening ceremony at the Teatro Regio in Turin, for the first time also broadcast live on radio as part of Hollywood Party on Rai Radio3, dedicated to «a tale through music and images on the relationship between the Beatles, the Rolling Stones and cinema».

Last week, the opening press conference of the event took place at the Cinema Quattro Fontane in Rome, celebrating the important milestone of its fortieth edition, coinciding with the long-awaited emergence from the devastating pandemic nightmare.

The promoters unveiled an ambitious, varied and richly innovative program, both in terms of the films on offer and the spaces for interaction between artists and the public, laying the foundations for an edition full of expectations.

In terms of logistics, the first novelty is the Casa Torino Film Festival, which will be located in the Cavallerizza Reale, also the festival’s Media Centre, thanks to the collaboration with our University. The centre aims to become «the nerve centre of the festival where most of the meetings and events will take place», as the new artistic director Steve Della Casa presented it (in fact a veteran already at the helm of the TFF between 1999 and 2002, and one of its founders in 1982 under the impetus of Gianni Rondolino and Ansano Giannarelli). Moreover, as summarised by the president of the National Museum of Cinema in Turin, the TFF’s promoting body, Enzo Ghigo, the entire city will be involved through a «look of the city that will go beyond the usual festival spaces to dress up the squares and streets of Turin with real works of art, created by the brilliant graphic trait of Ugo Nespolo, who also signed the guiding image». A sort of urban mapping that has long been in vogue in large metropolises and is likely to appeal to visitors of all ages.

Many guests will arrive in Turin during the festival, well-known faces from show business, music, cinema and beyond. The legendary protagonist of A Clockwork Orange, Malcolm McDowell (who will receive the Star of the Mole, will be honoured with a retrospective and will hold a masterclass), Paola Cortellesi, Toni Servillo, Mario Martone, Paolo Sorrentino, but also Vittorio Sgarbi, the singer Noemi, the producer Marina Cicogna, Michele Placido, Sergio Castellitto, the former goal twins Vialli and Mancini, Simona Ventura and many others will be among the guests.

As far as the program is concerned, in addition to a competition of national and international previews divided into the feature, documentary and short film sections, a rich out-of-competition section stands out (for a total of 173 works, 81 of which are world premieres) ranging from the solo show of the young Spanish director Carlos Vermut to the Portraits and Landscapes category, from the more “committed” section (Of Conflicts and Ideas) to the New Worlds of Auteur, up to Crazies, an anthology of films on what is new in horror production worldwide, destined to send the multitude of fans of the genre into raptures.

Malcolm McDowell

Not forgetting Back to life (the restored films), High Noon (the misunderstood classic American westerns), the homage to documentary filmmaker/collector Mike Kaplan, and the unfailing Masterclasses, what stands out is the strongly heterogeneous character of a program aimed at highlighting first works as well as average genre cinema (plus the so-called B-series production but with cult-movie potential), trying to be «a festival that remembers the past but thinks of the future, a festival that is cultured but popular, research but fun. A festival that wants to be a party».

With a keen eye on contemporary issues such as environmental sustainability, gender violence, which will also be remembered by the event’s patroness Pilar Fogliati with the anniversary of the International Day for the Elimination of Violence against Women, the many guests who will meet the public «telling their ideas and their point of view» and the varied schedule, the director emphasizes the festival’s desire to combine high and low culture, aiming to involve professionals from the sector, the event’s loyal audience and those who, intrigued by the novelties, will be able to approach the event.

TORINO FILM FESTIVAL. LA 40ma EDIZIONE

Con la presentazione alla stampa della Casa Torino Film Festival si è conclusa la fase di avvicinamento al TFF40 che aprirà (proiezioni, eventi, masterclass) il 25 novembre con la cerimonia di apertura al Teatro Regio di Torino, per la prima volta anche in diretta radiofonica all’interno di Hollywood Party su Rai Radio3, dedicata a “un racconto per musica e immagini sul rapporto tra i Beatles, i Rolling Stones e il cinema”. 

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“MI PIACE LAVORARE (MOBBING)” DI FRANCESCA COMENCINI

Mi piace lavorare (Mobbing) è la storia di Anna, una segretaria contabile – interpretata da Nicoletta Braschi – che vive con la figlia Morgana. Quando l’azienda in cui è impiegata viene assorbita da una multinazionale, il suo lavoro viene snaturato e le sue giornate si susseguono all’insegna di microaggressioni e di un progressivo isolamento. Job Film Days ne presenta una rara copia in 35mm per chiudere l’omaggio a Francesca Comencini.

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“EL GRAN MOVIMIENTO” DI KIRO RUSSO

Un anno dopo aver vinto il Premio speciale della giuria nella sezione Orizzonti della 78esima Mostra del Cinema di Venezia, El Gran Movimiento (2021) torna in Italia in occasione della terza edizione dei JOB FILM DAYS. A partire da un prologo (alla quale corrisponde un epilogo) debitore delle sinfonie urbane di matrice russo-tedesca, Kiro Russo intesse un racconto eccentrico e multiforme, in grado di guidare lo spettatore sia attraverso il caos della metropoli sia nei meandri della mente di Elder (Julio Cezar Ticona), il nostro pseudo-protagonista.

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“NON SONO MAI TORNATA INDIETRO” DI SILVANA COSTA

Quando Iolanda ha sei anni viene affidata in servizio a una famiglia. Iolanda cresce e nel frattempo nella famiglia nasce una nipote, Silvana: Iolanda l’accudisce e, tra le due, negli anni si sviluppa un rapporto simile a quello tra madre e figlia. Poco più che quarantenne, i nonni ormai scomparsi, Iolanda parte per il Canada in cerca della libertà. E’ una scelta difficile e coraggiosa; non torna più indietro. A distanza di molto tempo Silvana, ormai diventata ragazza e regista, decide di farne un film. Questo film: Non sono mai tornata indietro.

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“WOMAN AND THE GLACIER” DI AUDRIUS STONYS

“La mia prima idea era di fare un film su una donna fragile e sulle montagne eterne e solide, ma in realtà ho visto che le montagne, seppur forti, hanno anche una componente fragile” così Audrius Stonys descrive la genesi e gli sviluppi di Woman and The Glacier, presentato durante la terza edizione di Job Film Days, in collaborazione con il Politecnico di Torino, per discutere del sempre più rilevante argomento dei cambiamenti climatici e, nello specifico, della glaciologia.

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“THE GIRL FROM DAK LAK” DI MAI HUYEN CHI E PEDRO ROMAM

Un futuro promettente che non si rivela come tale, la solidarietà femminile, una ragazza che parte da una regione montagnosa per spostarsi nella grande città – Ho Chi Minh – “l’American Dream” del Vietnam; sono queste le linee narrative di un film lieve, The Girl From Dak Lak (proiettato ai Job Film Days 2022) che, pur senza una grande produzione alle spalle, riesce a scavare nella verità. Partita alla volta della metropoli in cerca di liberazione, Suong è ben presto rapita dalle dinamiche quadrate e meccaniche di una vita diversa da quella che aspettava.

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“TOMMASO BLU” DI FLORIAN FURTWÄNGLER

La recente ristampa di Tuta blu. Ire, ricordi e sogni di un operaio del Sud del poeta-operaio Tommaso Di Ciaula, è l’occasione perfetta per godersi Tommaso Blu (1987) di Florian Furtwängler, pellicola tratta dal suddetto libro che, nonostante fosse stata girata in Italia e pensata per il pubblico italiano, rimase inedita nel nostro paese. Il proficuo incontro tra lo scrittore pugliese, il sociologo Peter Kammerer e il regista nipote del famoso compositore Wilhelm Furtwängler, portò alla creazione di un film profetico, capace di assorbire le idee anticapitaliste e rivoluzionarie dell’opera originale per tramutarle in un racconto lineare, ma non per questo meno sconvolgente.

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“WORKING CLASS HEROES” DI MILOŠ PUŠIĆ

In occasione del suo terzo lungometraggio, scelto come film d’apertura della terza edizione dei JOB FILM DAYS, Miloš Pušić narra, tra il serio e il faceto, una storia che si nutre di una messa scena cangiante e imprevedibile per mostrare la mancanza di tutele e diritti dei lavoratori in Serbia. Working Class Heroes racconta di un gruppo di operai edili alle prese con il completamento di un edificio in un clima di illegalità e corruzione. La società di costruzioni però li ha ingaggiati principalmente per far finta di lavorare, per convincere gli investitori, attraverso l’immagine distorta della televisione, della bontà del progetto. Il cantiere diventa quindi un set che alimenta il sogno, ormai marcio fino al midollo, della possibilità di convivere con queste condizioni.

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“CELLULOID BORDELLO” DI JULIANA PICCILLO

Scintillante, misterioso, condannato eppure bramato dagli occhi di tutti: nulla si presta a essere indagato dal cinema come il mondo del sex work. Celluloid Bordello, il documentario di Juliana Piccillo, presentato durante la quinta edizione del Fish&Chips Film Festival, si propone di raccontare il complicato rapporto tra sex workers e grande schermo, presentandone gli stereotipi, i pregiudizi e i luoghi comuni attraverso il punto di vista di chi ha scelto di svolgere questa professione.

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“LOVE LIFE” DI KŌJI FUKADA

Sono molti i linguaggi che si intersecano in Love Life: dal giapponese e il coreano con cui si esprimono i personaggi, a quello musicale, tra il canto popolare e il brano moderno di Akiko Yano che dona il titolo al film. Ma non solo: c’è quello della luce che attraverso il cd appeso sul balcone scaccia gli insetti e “porta fortuna”, il linguaggio dei gesti, con cui si esprime Park, l’ex marito di Taeko, e ancora quello del gioco Otello, in cui simmetria e bipolarismo offrono  un’importante metafora di vita degli stessi personaggi. Eppure è l’incomunicabilità a fare da collante al film.

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“IL SIGNORE DELLE FORMICHE” DI GIANNI AMELIO

1968. In un’aula di tribunale di Roma viene celebrato il processo a carico dell’intellettuale e drammaturgo piacentino Aldo Braibanti (Luigi Lo Cascio), accusato di aver “plagiato” (cioè circuito a scopi sessuali) due ragazzi. La sentenza lo dichiarerà colpevole, condannandolo a nove anni di reclusione.

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“ESTERNO NOTTE” DI MARCO BELLOCCHIO

I fatti sono noti: la mattina del 16 marzo 1978 un commando delle Brigate Rosse rapisce il presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, dopo aver eliminato a colpi di mitra i 5 agenti della scorta che lo stavano accompagnando a Montecitorio per l’insediamento del quarto governo Andreotti, il primo nella storia repubblicana a cui il Partito Comunista avrebbe dato il proprio appoggio esterno. Da qui inizia un periodo di prigionia di quasi due mesi che si concluderà con il suo assassinio.

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“NOPE” DI JORDAN PEELE

Uno dei concetti che più hanno fatto discutere negli ultimi anni in campo filosofico è quello di iperoggetto. Formulato dal filosofo Timothy Morton, un iperoggetto è qualcosa “la cui caratteristica principale è quella di esistere su dimensioni spazio-temporali troppo grandi perché possa essere visto o percepito in maniera diretta”[1]. Come umani, non possiamo percepire direttamente gli iperoggetti, ovvero ne siamo immersi a tal punto da non poterli esperire direttamente, se non tramite i loro effetti. Iperoggetto per eccellenza, secondo Morton, è quindi il cambiamento climatico, fenomeno di portata talmente ampia da sfuggirci se non nei suoi effetti locali. Detto questo, come il cinema si pone nei confronti degli iperoggetti?

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“PUNTA SACRA” DI FRANCESCA MAZZOLENI

Punta Sacra, una punta di terra dimenticata alla foce del Tevere. Vi vivono, lottando, cinquecento famiglie; le separa dal mare solo una riga di rocce. Per Francesca Mazzoleni, vincitrice al Visions du Reel 2020, questo film è “un pezzo di vita”, il risultato di tanti anni trascorsi a conoscere gli abitanti del luogo e a “condividersi” con loro. L’idea di farne un film è maturata tardi, tanto che Punta Sacra è stato girato – in tre mesi – a otto anni di distanza dal suo primo incontro con la comunità. Un film al femminile dedicato alle donne, giovani e adulte, che vivono in quel fazzoletto di case minacciato dalla furia dell’acqua e dell’oblio.

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“WHITE BUILDING”, DI KAVICH NEANG

La vecchia Phnom Penh sta sparendo. Gli occhi sperduti e incerti di Samnang (Piseth Chhun) contemplano in tempo reale la demolizione della città che conosce e abita, corrosa dalle forze della gentrificazione. Come nella Fenyang di Jia Zhangke, le trasformazioni in atto sono profonde al punto da riscrivere la storia stessa. Sul passato, obliterato, si sovraimprime il futuro. Si attacca lo spazio per plasmare – violentandolo – il tempo. «Old buildings are disappearing, taking swathes of our past with them, while condos, malls, and modern air-conditioned stores pop up everywhere. But what has changed most […] is the rhythm of the city»1: così Kavich Neang sintetizza una mutazione che riguarda non solo il tempo storico, culturale, ma anche quello vitale, performativo, della sua città. E, per sineddoche, della sua società. A una forsennata riscrittura architettonica del mondo votata alla cancellazione, White Building oppone il tempo di un respiro profondo, di un requiem.

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“THE NORTHMAN”, DI ROBERT EGGERS

Eggers si lascia alle spalle l’intellettualismo claustrofilo-cameratista di The Lighthouse (2019) per lanciarsi in una virilissima epopea vichinga fatta di rutti, flatulenze e massacri. Una storia di vendetta hardcore, lineare fino alla ridondanza, modellata un po’ sull’Amleth di Saxo Grammaticus e un po’ sulla legge del taglione. L’eroe è qui spogliato delle sofisticazioni shakespeariane e ricondotto a una corporeità originaria, de-pensante. Riflettere, nell’universo fatalista sceneggiato dalle Norne, è da assoluti imbecilli: basta adempiere al proprio destino, ammazzando chi si deve ammazzare, copulando con chi si deve copulare. Eventualmente, ammazzare qualcuno in più. Altrimenti, a che servono le comparse?

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