“LUX SANTA” DI MATTEO RUSSO

La tradizione vuole che a Crotone, per il 13 dicembre, i giovani uomini del quartiere costruiscano una piramide di legno a cui dare fuoco in omaggio a Santa Lucia. Lavorare insieme diventa una necessità per avere la meglio nella competizione – amichevole e tradizionale anch’essa – che ogni anno si instaura tra i rioni della città per chi fa il fuoco più alto e più bello. «Dobbiamo uscire sui giornali – noi, Fondo Gesù, non gli altri». E nonostante la stampa non gli darà attenzione, sarà Lux Santa – diretto da Matteo Russo e presentato nel concorso documentari italiani per il 41° Torino Film Festival – a raccontare la storia degli uomini del rione Fondo Gesù.

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“MANDOOB – NIGHT COURIER” BY ALI KALTHAMI

Article by Elena Bernardi

Translation by Fabio Castagno

From the beginning,  the director Ali Kalthami explains to the audience the double connotation of the Arabic word “Mandoob”, which means “courier” but also “a person pitied for his misery and tragic end”. Mandoob – Night Courier – part of the feature film competition of the 41st edition of Torino Film Festiva – turns the same double meaning of the word into an ambiguous thriller connotated by a strong sense of humor, which shows the power of desperation in the protagonist’s misadventures.

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“MANDOOB – NIGHT COURIER” DI ALI KALTHAMI

Il regista Ali Kalthami esplicita fin da subito al proprio pubblico la doppia connotazione della parola “Mandoob” che in arabo significa sì “corriere”, ma anche “un individuo compianto per la sua miseria e tragica fine”. Quest’ambivalenza e duplicità semantica in Mandoob – The night Courier – presentato in concorso alla 41° edizione del Torino Film Festival – diventa anche la dualità di un thriller connotato da una forte vena umoristica, che racconta il potere della disperazione nelle disavventure del protagonista.

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“KALAK” BY ISABELLA EKLÖF

Article by Marta Faggi

Translation by Rebecca Lorusso

Kalak’s Greenland is endless. The deep fjord inlets are topped by steep, snow-capped mountain walls. Kulusuk is a small village in East Greenland, made up of a few isolated houses with sloping roofs and bright colors. Jan (Emil Johnsen) takes refuge in Kulusuk with his wife and children, after life in Nuuk has become intolerable. This is not the first time Jan has run away from something: before living in Greenland, he lived in Denmark with his father. He always runs away from himself and his past, in a stressed search for a sense of belonging and community.

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“KALAK” DI ISABELLA EKLÖF

La Groenlandia di Kalak è sterminata: le profonde insenature dei fiordi sono sormontate da ripide e scoscese pareti montuose, con le cime innevate. Kulusuk, piccolo villaggio della Groenlandia orientale, è composto da poche case isolate, dai tetti spioventi e dai colori sgargianti. È a Kulusuk che Jan (Emil Johnsen) si rifugia, con moglie e figli, dopo che la vita nella capitale, Nuuk, è diventata insostenibile. Non è la prima volta che Jan fugge da qualcosa: prima di vivere in Groenlandia, viveva in Danimarca, con il padre. Scappa da se stesso e dal proprio passato, alla spasmodica ricerca di un senso di appartenenza, di una collettività.

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“I 400 giorni: funamboli e maestri” by Emanuele Napolitano and Emanuele Sana

Article by Elisa Gnani

Translation by Francesca Borgheresi

A documentary about young people for young people, I 400 giorni: funamboli e maestri (“The 400 days: funambulists and masters”) shows the (first) 400 days in the professional life of twenty-four young actors and actresses from all around Italy. This documentary film shows how they share fears, expectations, interests and hopes, like young Antoine does – the protagonist of the famous film The 400 Blows by François Truffaut, who not by chance is commemorated here. 

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“I 400 giorni: funamboli e maestri” di Emanuele Napolitano ed Emanuele Sana

È un documentario di giovani per giovani. I 400 giorni: funamboli e maestri documenta i (primi) quattrocento giorni di vita professionale di ventiquattro giovani attori e attrici selezionati in tutt’Italia, che rivelano in questo docu-film paure, aspettative, curiosità e speranze, proprio come fa il giovane Antoine, protagonista del celebre film di François Truffaut, I 400 colpi, che non a caso viene rievocato.

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“EARTH MAMA” BY SAVANAH LEAF

Article by Giorgia Andrea Bergamasco

Translation by Eleonora Torrisi


The topic of motherhood has been and still is often addressed in cinema through the most diverse perspectives and sensibilities. Anglo-American filmmaker Savanah Leaf’s approach stands out in the contemporary landscape for its unique freshness and delicacy, making her Earth Mama – based on the short documentary The Heart Still Hums, co-directed with Taylor Russell – an extraordinarily powerful debut feature film.

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“EARTH MAMA” DI SAVANAH LEAF

La tematica della maternità è stata e viene tutt’oggi spesso affrontata nel cinema attraverso le più diverse prospettive e sensibilità. L’approccio della regista anglo-americana Savanah Leaf si distingue nel panorama contemporaneo per una freschezza e una delicatezza unica, che rendono il suo Earth Mama – basato sul cortometraggio documentario The Heart Still Hums co-diretto insieme a Taylor Russell – un’opera prima dalla potenza straordinaria.

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“HERE” BY BAS DEVOS

Article by Federico Lionetti

Translation by Sebastiano Liso

Stefan (Stefan Gota), is a Romanian mason who suffers from insomnia, shaggy-faced and always wearing shorts. ShuXiu (Liyo Gong), is a lively Chinese biologist, sweet-eyed and often absorbed in her work. Both wander in a nocturnal Brussels and in its surroundings, between the long shots of under-construction buildings and details of mosses and windblown trees; they wander, get lost and find each other in a contemporary world, a biome in which the relationship of dependency between human and nature progresses into a stable understanding.

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“HERE” DI BAS DEVOS

Lui, Stefan (Stefan Gota), è un muratore insonne di origini rumene, dal viso arruffato e con i pantaloncini sempre corti; lei, ShuXiu (Liyo Gong), una vivace biologa di origini cinesi, dal dolce sguardo e spesso assorta. Entrambi vagano nella Bruxelles notturna e nei dintorni campestri, tra campi lunghi di palazzi in costruzione e dettagli di muschi e alberi mossi dal vento; si incamminano, si perdono e si ritrovano nel mondo di adesso – un bioma in cui la relazione di dipendenza uomo-natura progredisce in una stabile intesa. 

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“LA PRÁCTICA” BY MARTÍN REJTMAN

Article by Enrico Nicolosi

Translation by Alessia Licari

For his 8th feature-length film, La Práctica (“The practice”), Martín Rejtman leaves his beloved Argentina for neighbouring Chile. The main character, Gustavo (Esteban Bigliardi), goes through a journey that is similar to a spiritual retreat trying to reconnect with meditative yoga. Both the director and the main character – who is sort of an alter ego of his creator – will see their innovative dreams clash with reality. As it often happens in the Argentinian director’s films, whatever happens to the helpless characters doesn’t really have a substantial effect in their lives.

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“LA PRÁCTICA” DI MARTÍN REJTMAN

Dopo più di trent’anni di carriera, per il suo ottavo lungometraggio La practica, Martín Rejtman abbandona la sua adorata Argentina per il vicino Cile. Non una rivoluzione, ma una sorta di ritiro spirituale, esattamente come quelli provati dal protagonista Gustavo (Esteban Bigliardi) per ritornare in connessione con la pratica meditativa dello yoga. Sia il regista che il suo personaggio – come non mai alter ego del suo creatore – vedranno i loro sogni di innovazione scontrarsi con la realtà. Infatti, come da prassi nel cinema del maestro argentino, il vortice di vicende che coinvolge gli inermi soggetti non produce alcun effetto sostanziale nelle loro vite, risolvendosi in un grandissimo nulla di fatto.

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“TIGRU/DAY OF THE TIGER” by Andrei Tănase

Article by Carlotta Pegollo

Translation by Carolina Criscuolo


A woman stands beyond a net, armed with a rifle, peering into the empty pool below where a caged tiger, the pet of a gangster, lies.

This marks the beginning of Andrei Tănase’s film, developed as part of the TorinoFilmLab 2019 which globally premiered at the International Film Festival Rotterdam 2023. The opening scene introduces the two main characters, their connection is evident through the first frames.

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“TIGRU/DAY OF THE TIGER” di Andrei Tănase

Una donna al di là di una rete, armata di fucile, guarda in basso sul fondo di una piscina vuota dove si trova una tigre in gabbia, l’animale domestico di un gangster.
Così inizia il film Andrei Tănase – sviluppato nell’ambito del TorinoFilmLab 2019 e presentato in anteprima mondiale all’International Film Festival Rotterdam 2023 – con le due figure protagoniste, il cui legame è reso evidente dalla messa in quadro della prima scena.

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“SOFIA FOI” BY PEDRO GERALDO

Article by Antonio Congias

Translation by Martina Agostino

What’s left of Sofia (Sofia Tomic) are clothes, laid out as if they were laundry hanging in the sun. What’s left of Sofia is the carving of a heart on a tree, the sound of a thud in the water, and the echo of a dog barking in the face of an irreparable choice. Even Sofia’s tattoo drawings survive, failing to fulfil the uncomfortable situation she ended up herself in. Actually, Sofia’s past and the memory of her last wanderings, are sealed in Sofia Foi, the debut feature film by Brazilian director Pedro Geraldo. 

«Can we stay like this for a while?» says Sofia, sure that she no longer has to fear her vulnerability, because she finally has a person in front of her who can understand her fragility. A fictitious safety that is swept away by an outbreak of yellow fever, which turns Sofia’s life into a long tunnel where absence and the rumbling of death dominate.

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“SOFIA FOI” DI PEDRO GERALDO

Quello che rimane di Sofia (Sofia Tomic) sono degli abiti zuppi di morte, stesi come se fossero panni al sole. Di Sofia resta l’incisione di un cuore sull’albero, il rumore di un tonfo nell’acqua e l’eco di un cane che abbaia davanti a una scelta irreparabile. Sopravvivono anche i disegni che Sofia tatua per venire meno alla situazione scomoda in cui si è trovata. Ciò che Sofia era, la memoria delle sue ultime peregrinazioni, è sigillato in Sofia Foi, opera prima del regista brasiliano Pedro Geraldo. «Possiamo rimanere così per un po’?» dice Sofia, certa di non dover più temere la propria vulnerabilità, perché finalmente ha davanti una persona che quella fragilità può comprenderla. Una sicurezza fittizia che viene spazzata via da un’epidemia di febbre gialla, che trasforma la vita di Sofia in un lungo tunnel in cui dominano l’assenza e il rimbombo della morte.

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“Marinaleda” by Louis Séguin and “Michel Vay” by Nicolas Deschuyteneer and Patricia Gélise

Article by Pietro Torchia


Translation by Lara Martelozzo

Marinaleda by Louis Séguin, and Michel Vay by Nicolas Deschuyteneer and Patricia Gélise – two medium-length films presented at the Turin Film Festival in the Crazies section – address the road movie genre in opposite ways. In the former, the journey is a collective experience and becomes a pretext for enjoying the pleasure of sharing; in the latter, the journey is depicted as a metaphorical, intimate and private experience of the passage from an earthly dimension to a transcendent one. Marinaleda is a “political” road movie in which two vampires hitchhike from France to Spain to reach the town of Marinaleda, where a communist administration is in force. Amid new acquaintances, erotic moments and social discourses, it is the in-camera glances of the characters that capture the audience, inviting them to immerse in the vampire marxist-like philosophy of life according to which blood feasting becomes an altruistic gesture of body sharing – they are vampires of human and gentle nature with whom it is easy to empathize, in an atmosphere that reminds us of Jim Jarmusch’s Only Lovers Survive (2013), which also shares a fascination for slow narrative and a posed humour with Louis Séguin’s film.

Michel Vay tells of the introspective and transcendental escape journey of an outlaw who has just committed a robbery. A path to Michel’s death that moves between the concreteness of landscapes and the abstractness of the protagonist’s psychological torments, represented in the journey inside his mind through dance steps and music sounds. Attempting to narrate the passage between life and death, between the material and the immaterial in sixty minutes only, the film is at times overly ambitious, in a stylistic search for the perfect image that sometimes forgets the importance of audience involvement. A complacent nonlinear narrative that results in a didactic and predictable ending, with the concluding shot echoing the opening one, recalling a cyclical conception of life. A daring experimentation that is not perfectly successful and that not even the pleasant musical moments and Dantean quotations succeed to make truly exciting.

“Marinaleda” di Louis Séguin e “Michel Vay” di Nicolas Deschuyteneer e Patricia Gélise

Marinaleda di Louis Séguin e Michel Vay di Nicolas Deschuyteneer e Patricia Gélise – mediometraggi presentati al Torino Film Festival nella sezione Crazies – trattano il road movie in maniera opposta. Nel primo il viaggio è un’esperienza collettiva e diventa un pretesto per godere del piacere della condivisione; nel secondo, invece, è un’esperienza metaforica, intima e privata, del passaggio da una dimensione terrena a una trascendente.

Marinaleda è un road movie “politico”, nel quale due vampiri viaggiano in autostop dalla Francia alla Spagna per raggiungere la città, che dà il titolo al film, dove vige un’amministrazione comunista. Tra nuove conoscenze, momenti erotici e discorsi sociali, sono gli sguardi in macchina dei personaggi che catturano il pubblico invitandolo a immergersi nella marxista filosofia di vita vampiresca secondo la quale le banchettate di sangue diventano un gesto altruista della condivisione corporea. Vampiri dal carattere umano e gentile con i quali è facile empatizzare, in un’atmosfera che ricorda Solo gli amanti sopravvivono (2013) di Jim Jarmusch, che con il film di Louis Séguin condivide anche il fascino per la lentezza della narrazione e un posato umorismo.

Michel Vay racconta del percorso di fuga, introspettivo e trascendentale, di un fuorilegge che ha appena compiuto una rapina. Un percorso verso la morte di Michel che si muove tra la concretezza dei paesaggi e l’astrattezza dei tormenti psicologici del protagonista, mostrati nel viaggio all’interno della sua mente a passi di danza e suoni di musica. Tentando di narrare il passaggio tra la vita e la morte, tra il materiale e l’immateriale, in soli sessanta minuti, il film pecca di troppo ambizione, in una ricerca stilistica dell’immagine perfetta che talvolta dimentica l’importanza del coinvolgimento del pubblico. Una compiaciuta narrazione non lineare che sfocia in un finale didascalico e prevedibile, con l’inquadratura conclusiva che richiama quella iniziale, richiamando una ciclica concezione della vita. Una coraggiosa sperimentazione non perfettamente riuscita che neanche i piacevoli momenti musicali e le citazioni dantesche riescono a rendere veramente appassionante.

“CERRAR LOS OJOS” by Víctor Erice

Article by Fabio Bertolotto

Translation by Camilla Lippi

In Víctor Erice’s movies – four in a career that began fifty years ago – cinema, both as a physical place and as a technical and expressive device, has always played a central role. Her first feature film, The Spirit of the Beehive (El espíritu de la colmena, 1973), told the story of a little girl who was shocked after watching Frankenstein (James Whale, 1931). In El sur (The South) (1983) the protagonist discovered her father’s betrayal in a hall where movies featuring the man’s lover were shown. Cinema as an influential art device, capable of having concrete effects on reality, can also be found in Cerrar los ojos (Close your eyes), the director’s latest work.

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Il blog delle studentesse e degli studenti del Dams/Cam di Torino