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“THE VISITOR” DI BRUCE LABRUCE

In collaborazione con Fish&Chips Film Festival, la sala del 39° Lovers Film Festival si tinge di un rosso acceso e vibrante per presentare l’ultimo lungometraggio di uno dei più audaci provocatori del cinema queer e militante. Con The Visitor, Bruce LaBruce affronta il pudore del pubblico in un lavoro violentemente queer, concepito inizialmente come un’istallazione per la fiera d’arte londinese Frieze e in seguito presentato in anteprima mondiale alla 74° Berlinale. In un esplicito omaggio a Pasolini, il regista reinterpreta Teorema (1968) a partire dal proprio immaginario pornografico-politico e adatta l’idea pasoliniana all’attuale società capitalista inglese.

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“RILEY” DI BENJAMIN HOWARD

«Come il ferro affila il ferro, così un uomo ne affila un altro»

Al suo ultimo anno di liceo, il promettente giocatore di football americano Dakota Riley (Jake Holley) sa perfettamente che la mattina la prima cosa che farà sarà andare ad allenarsi. L’obbiettivo dell’anno è arrivare preparato ad una stagione all’insegna di molteplici touch-down e continuare ad impressionare le sei università americane che hanno posato gli occhi su di lui e sul suo talento. Tutto appare perfettamente programmato in una routine accompagnata dalle pressanti aspettative di genitori, amici e compagni di squadra, finché la sua identità queer non inizia ad emergere ponendolo di fronte ad una scelta: negare a se stesso la verità o scendere a patti con chi è realmente.

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“LESVIA” DI TZELI HADJIDIMITRIOU

“Someone will remember us, I say, even in another time”. È su questo riconoscibilissimo frammento di Saffo che si apre Lesvia, il primo lungometraggio documentario della regista greca Tzeli Hadjidimitriou. Un verso che racchiude perfettamente l’intero film, che si impernia sulla profondità e sulla pregnanza del ricordo come testimonianza.

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“THE SUMMER WITH CARMEN” DI ZACHARIAS MAVROEIDIS

Su una scogliera soleggiata a sud di Atene, due ragazzi – l’“eroe” della storia Demostene (Yorgos Tsiantoulas) e l’amico aspirante regista Nikita (Andreas Lampropoulos) – decidono di scrivere la sceneggiatura di un lungometraggio che racconti gli eventi vissuti dal protagonista nell’estate precedente – la rottura con il fidanzato, la successiva adozione del cane (Carmen) dell’ex e la malattia del padre. I ricordi si distendono per tutta la durata del film con la stessa calma dei personaggi al sole e sono inframmezzati dalla leggera e delicata ironia della cornice narrativa. The summer with Carmen di Zacharias Mavroeidis, fuori concorso al 39° Lovers Film Festival, è costruito classicamente come un “racconto nel racconto”, in cui la composizione metadiscorsiva si fa pretesto per interrogare lo spettatore (e i personaggi) sulla velleità delle sovrastrutture narrative che applichiamo alle nostre vite.

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“LUCES AZULES (BLUE LIGHTS)” DI LUCAS SANTA ANA

I protagonisti dell’ultima commedia di Lucas Santa Ana non possono non ricordare gli amici riuniti attorno al tavolo di Perfetti Sconosciuti. In Luces Azules (Blue Lights), però, la caducità dei rapporti umani e i segreti non distruggono l’identità dei personaggi e la loro fiducia reciproca, bensì diventano occasione di crescita e sostegno.

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“M DE MÃES” DI LÍVIA PEREZ

Melanie guarda la partita di calcio sdraiata sul letto di schiena mentre si accarezza il pancione che ospita i gemelli Bernardo e Iolanda. Marcela, invece, segue l’incontro con molta più partecipazione e preoccupazione della moglie e, mentre ha gli occhi incollati allo schermo, sfrutta il momento per usare il tiralatte elettrico. Quando la sua squadra segna, l’esultanza è tale che la loro cagna, infastidita, decide di cambiare stanza.

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“KUBI” DI KITANO TAKESHI

Dal buio della sala, allo sguardo è concesso di contemplare le sponde di un piccolo fiume immerso nel verde, ma quello che sembra un limpido corso d’acqua è in realtà un ammasso di fanghiglia e cadaveri dilaniati, resti di una battaglia appena conclusa. Con Kubi, Kitano Takeshi torna alla regia con un dramma storico ambientato nel Giappone feudale, esattamente vent’anni dopo il grande successo di Zatōichi (2003), dedicato all’epopea del samurai cieco.

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“VINCENT DOIT MOURIR” DI STÈPHAN CASTANG

La violenza scaturisce dagli occhi di chi guarda: a Vincent (Karim Leklou), per essere aggredito, basta incrociare lo sguardo di qualcuno. Questa – banale – azione quotidiana è foriera, in Vincent doit mourir, di una crudeltà senza fine, destinata a protrarsi di giorno in giorno, ogni volta con modalità inedite. La violenza si diffonde, in modo quasi epidemico, tramite attacchi scomposti e impacciati di civili totalmente inadatti al combattimento. Si innesca così una follia che ha una venatura grottesca: queste persone vogliono disperatamente uccidere Vincent ma, al tempo stesso, ne sono incapaci.

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“THE COMPLEX FORM” DI FABIO D’ORTA

«A me basta che i soldi siano veri» pronuncia il protagonista, un uomo che, come altri, si è recato in una lussuosa villa ottocentesca per vendere il proprio corpo a entità misteriose in cambio di denaro. Uomini disperati disposti a sottomettersi all’ignoto pur di migliorare la propria condizione. The Complex Form, esordio del regista Fabio D’Orta, inserito nella sezione Crazies del Torino Film Festival 41, ci trascina in un’attesa estenuante che sembra non risolversi mai.

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“CHRISTINE – LA MACCHINA INFERNALE” DI JOHN CARPENTER

La 41ª edizione del Tff termina con la proiezione di Christine – La macchina infernale, horror del 1983 con cui Steve Della Casa decide di concludere i suoi due anni di direzione del festival. La scelta non è casuale: il film di John Carpenter fece parte, più di vent’anni fa, di una delle retrospettive dedicate ai cineasti americani poco compresi e un po’ snobbati dalla critica, come George Romero e John Milius. A quarant’anni dall’uscita nelle sale, Della Casa propone una lettura diversa di uno degli horror più riusciti e sottovalutati di Carpenter, tratto da uno dei romanzi più belli e trascurati di Stephen King. Un’opera rimasta in disparte, all’ombra dei film più noti del regista, come La cosa (The Thing, 1982) o Halloween (1978).

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“Folle d’amore: Alda Merini” di Roberto Faenza

Non matta, ma piena di un’incompresa vitalità. Alda Merini, la donna che fece della poesia oggetto di amore e ossessione, tormento e follia, è la protagonista di Folle d’amore: Alda Merini, presentato fuori concorso alla 41° edizione del TFF. Il ritratto della poetessa e della donna dà voce a una figura che, più di tante altre, urla alle nuove generazioni la necessità e l’urgenza di esprimersi, a cui non ha mai rinunciato, nemmeno negli anni del manicomio. 

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“DO NOT EXPECT TOO MUCH FROM THE END OF THE WORLD” DI RADU JUDE

Tra le molte strade che percorrono il territorio rumeno, una in particolare gode di una certa popolarità: è la Transfăgărășan, anche nota come “la follia di Ceaușescu”, 60 miglia che si snodano attraverso le vette più scoscese della Romania. Il sinistro appellativo con cui viene ricordata, in palese contraddizione rispetto ai panorami mozzafiato che attraversa, risale ai tempi della sua edificazione e vuole essere un ricordo degli operai morti per il completamento del folle progetto. Ma la Transfăgărășan è solo una delle tante. Rispetto alle altre opere di ingegneria civile cadute nel dimenticatoio, ha la fortuna di avere dalla propria la bellezza, e quella si sa, piace a tutti, vende sempre bene.

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“WHITE PLASTIC SKY” DI TIBOR BÁNÓCZKI E SAROLTA SZABÓ

Il mondo tra cento anni. Nella Budapest del 2123 le persone sono costrette a donare il proprio corpo per il bene comune. La crisi ambientale ha infatti devastato il pianeta, ormai ridotto a una distesa arida su cui non cresce più nulla. Per questo motivo viene progettato un seme che, una volta impiantato, può trasformare l’essere umano in albero. Per la sopravvivenza dell’umanità, chiunque compia cinquant’anni deve subire questo processo.

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“GIRASOLI” di Catrinel Marlon

Nella sezione “La prima volta” del Torino Film Festival è stato presentato l’esordio alla regia della madrina della manifestazione Catrinel Marlon, attrice ed ex modella di origine romena. Il film, Girasoli, di cui è anche co-sceneggiatrice, nasce da una sua intima necessità, dalla volontà di portare sullo schermo una tematica a lei vicina: la malattia mentale.

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Negli anni Sessanta i manicomi esistono ancora: sono luoghi grigi e cupi, le cui pareti trasudano dolore mentale e fisico a causa delle pene corporali, delle “cure” e delle misere condizioni di vita. Sono luoghi in cui si viene rinchiusi e dimenticati per sempre oppure, prima o poi, rigettati nella società. Lucia (Gaia Girace) è una quindicenne schizofrenica, ricoverata da diversi anni presso l’ospedale psichiatrico Santa Teresa di Lisieux, ma non ancora completamente schiacciata dalla vita e dalle terapie. Anna (Mariarosaria Mingione), orfana cresciuta in convento e appena maggiorenne, viene trasferita all’ospedale psichiatrico per diventare infermiera. Una volta giunta nel manicomio deve scegliere da che parte stare: seguire la dottoressa Marie D’amico (Monica Guerritore), donna all’avanguardia nello sperimentare nuove terapie ispirate alle teorie di Franco Basaglia, o conformarsi a quell’ambiente all’epoca prettamente maschile e di vedute ristrette, che crede solo nelle pillole e nell’elettroshock. Dalla scelta di Anna dipenderà il futuro di Lucia e la sua possibilità di salvarsi.


Catrinel Marlon riesce ad affrontare con sguardo autentico una tematica complessa e delicata, ispirata a una storia realmente accaduta. Il racconto è crudo, ma la regista non si sofferma sugli aspetti più degradanti della vita manicomiale, evitando di cadere in una patetica spettacolarizzazione della sofferenza, della reclusione e del dolore. Una narrazione incisiva e puntuale, arricchita da un altro tema centrale di Girasoli: l’amore, il potentissimo mezzo che permette di evadere – anche quotidianamente – da quelle mura soffocanti.

Carlotta Pegollo

articolo pubblicato su “la Repubblica” il 26 novembre 2023

“YOU HURT MY FEELINGS” DI NICOLE HOLOFCENER

Fuori concorso, You Hurt My Feelings è l’ultima brillante commedia della regista e sceneggiatrice statunitense Nicole Holofcener che in punta di piedi e con un’ironia calibrata, mette in scena la complessità e la fragilità delle relazioni umane.

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“LINDA VEUT DU POULET!” di Chiara Malta e Sébastien Laudenbach

Il Torino Film Festival è tornato per la 41° edizione a illuminare gli schermi delle sale della citta. La scelta di un film d’animazione come apertura del concorso lungometraggi conferma lo spirito innovatore per cui è noto il festival.

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“LE RÈGNE ANIMAL” DI THOMAS CAILLEY

In un presente alternativo, parte della popolazione è colpita da una mutazione che trasforma le persone in creature ibride, in uomini-animali. Non si conoscono le cause né le ragioni. Si sa solo che le vittime di questa malattia possono mettere a rischio l’ordine e la sicurezza pubblica e che, quindi, devono essere controllate, rinchiuse in riserve appositamente costruite, separate dalla società civile. 

Il regista francese Thomas Cailley in Le règne animal, presentato nella sezione Crazies, ci racconta la creazione di un mondo in cui stanno cambiando le frontiere tra ciò che è umano e ciò che è animale. Un cambiamento vissuto dagli intimi punti di vista di un padre (Romain Duris) e di un figlio Émile (Paul Kircher), entrambi affranti per la scomparsa della moglie (e madre), mutata in una di queste creature. Il film mostra l’accettazione di una realtà tanto brutale quanto rappresentativa di un orizzonte in cui l’uomo è chiamato a stabilire un rapporto di convivenza pacifica con gli altri esseri viventi.

Le règne animal è anche il racconto della crescita di Émile e del suo assecondare un destino di trasformazione – un coming of age atipico, accompagnato dai picareschi brani del musicista torinese Andrea Laszlo De Simone. Émile corre tra gli alberi della foresta in cui trascorre le giornate, caccia, nuota nella palude, e urla a pieni polmoni quel grido di libertà che è espressione della natura stessa che cerca di sopravvivere alla dominazione dell’uomo. Il ragazzo ribalta l’immagine che la cosiddetta società civilizzata crea attorno alle creature ibride, facendosi esempio di come la metamorfosi in animale non sia brutalizzazione di sé, ma liberazione dalle leggi distruttive del sistema. Così, Émile, accettando se stesso come parte del règne animal, riflette e comunica nuove prospettive sull’emergenza ecologica. Nuovi modi – resistenti alle dinamiche di potere e di controllo sulla natura – di re-immaginare il rapporto con l’ecosistema.

Federico Lionetti

Articolo pubblicato su “la Repubblica” il 3 dicembre 2023

“MUMMOLA” DI TIA KOUVO

Il termine “mummola” in finlandese si riferisce alla casa della nonna, ma non si limita a indicare il mero luogo fisico. “Mummola” è la meta delle vacanze natalizie per tutta la famiglia, è un insieme di odori e sapori, un luogo sicuro e accogliente il cui ricordo provoca sempre una gradevole nostalgia, anche quando la famiglia non è proprio perfetta e unita. I ricordi della regista Tia Kouvo – che sceglie la sua città natale come location – prendono vita nel suo film d’esordio, sviluppato con il supporto del TorinoFilmLab e presentato alla 41° edizione del Torino Film Festival.  

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“A STRANGER QUEST” DI ANDREA GATOPOULOS

Tracciare i confini di una mappa significa indagare il mondo conosciuto e, soprattutto, rivolgere il nostro sguardo verso l’ignoto. Ruotano intorno a questo le domande che Andrea Gatopoulos lascia che l’intelligenza artificiale ponga a David Rumsey, uno dei più grandi collezionisti di mappe del mondo. Il primo lungometraggio del regista abruzzese conclude una trilogia dedicata al rapporto tra uomo e macchina costituita dai due cortometraggi Happy New Year, Jim (2022) ed Eschaton Ad (2023).

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