Tutti gli articoli di Davide Gravina

“MARIANNE” DI MICHAEL ROZEK

L’esordio alla regia di Michael Rozek è un racconto intimo e insieme universale. Un’architettura metacinematografica ardita ma coinvolgente che grazie alla presenza consapevole e fragile di Isabelle Huppert riesce a proporre una profonda riflessione sulla recitazione e sul cinema, sull’arte e sul tempo.

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“YANNICK” DI QUENTIN DUPIEUX

Una musica off dalla tonalità straordinariamente soave esce da un pianoforte sia all’inizio sia alla fine del film di Quentin Dupieux, in arte Mr. Oizo: è il sottofondo musicale ideale per accompagnare con grazia un’opera cinematografica meta-artistica da cui, seppur in maniera immancabilmente comica (come ormai ci ha abituato il gusto per l’assurdo e per il nonsense del regista), traspare un messaggio per e sull’arte che, lungi dall’essere fuori posto nella filmografia del regista, ben si amalgama alla denuncia della situazione ambientale di Fumer Fait Tousser (2022), al rapporto amicale di Mandibules – Due uomini e una mosca (2020) e all’estremo feticismo per le giacche scamosciate di Doppia pelle (2019).

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“BIRTH” DI YOO JI-YOUNG

Scorrono i titoli di coda di Birth – presentato in concorso alla 41° edizione del TFF – e il rumore dei tasti del computer non smettono di fare rumore, non conoscono attimi di pausa. Jay (Han Hae-in) è una scrittrice giovane e promettente, ricca di talento, indubbiamente ambiziosa, per nulla timorosa e anzi stimolata dalla carriera che ha deciso di intraprendere. Non può e non sa fare altro. Accanto a lei, il compagno Geonwoo (Lee Han-ju), insegnante di inglese in un istituto privato, sembra accontentarsi di vivere all’ombra della sua fidanzata, aiutandola come meglio può e rinunciando alla sua felicità individuale. Una storia d’amore impari dunque, il cui equilibrio, solo apparentemente stabile, in realtà profondamente malsano, viene messo in discussione nel momento esatto in cui lei scopre di essere incinta, nonostante l’attenzione riposta nell’utilizzo di contraccettivi.

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“LES CHAMBRES ROUGES” DI PASCAL PLANTE

Si sa, il cinema è fatto di immagini e parole. Queste però non devono per forza essere in sintonia; possono anzi contraddirsi, scontrarsi, delle volte addirittura annullarsi, lasciando così lo spettatore nel pieno di pensieri sconnessi, di riflessioni incontrollate, di teorie istintive. Alla costante ricerca di uno spazio ospitale che permetta di accogliere e dipanare i propri dubbi, in questi casi il pubblico trova nell’opera filmica non uno strumento grazie al quale arrivare a una conclusione, ma al contrario un luogo dove il peregrinare alla ricerca di una soluzione non è solo concesso, ma addirittura obbligato.

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“GORGONA” DI ANTONIO TIBALDI

Quotidianità e lavoro. Due entità inseparabili nella casa di reclusione di Gorgona, un’isola-carcere a diciannove miglia di distanza dalle coste della Toscana. Un penitenziario concepito come colonia agricola. Un luogo dove culture, religioni, politica e musica s’incontrano senza scontrarsi. Uno spazio distante dal mondo reale. Un territorio dove addirittura i giornalisti perdono le coordinate del loro mestiere e a tratti si comportano come se stessero assistendo a uno spettacolo esotico da scoprire e da ammirare più che da analizzare con raziocinio.

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“LA HIJA DE TODAS LAS RABIAS” di LAURA BAUMEISTER

L’esordio alla regia di Laura Baumeister, in concorso alla 40esima edizione del Torino Film Festival, narra una storia crudele e dolorosa, in grado di unificare l’oppressione di cui è vittima il suo paese d’origine, il Nicaragua, con i soprusi ai quali la piccola Maria (l’energica e pensierosa Ara Alejandra Medal) è costretta a sottostare.

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“FUMER FAIT TOUSSER” DI QUENTIN DUPIEUX

Ebbene sì, Quentin Dupieux ci è riuscito ancora. Dopo lo pneumatico assassino di Rubber (2010), la giacca di Doppia pelle (2019) e la mosca di Mandibules (2020), questa volta sono alcuni eccentrici racconti dell’orrore – poco spaventosi a dir la verità, anzi piacevolmente spassosi –  a strappare grasse risate e a dominare la scena dell’ultimo film di uno degli autori più assurdi e paradossali del cinema contemporaneo.

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“PINBALL – THE MAN WHO SAVED THE GAME” DI AUSTIN E MEREDITH BRAGG

«La storia è importante». Lo sa bene il vecchio Roger Sharpe (Dennis Boutsikaris), narratore, non del tutto affidabile, della vicenda che lo ha reso famoso in tutti gli Stati Uniti d’America e, collateralmente,  della sua storia d’amore con Ellen (Crystal Reed): queste le due anime che si incontrano nell’ultimo film di Austin e Meredith Bragg, presentato fuori concorso alla 40esima edizione del Torino Film Festival.

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 “LA OTRA FORMA” DI DIEGO FELIPE GUZMÁN

Da Orwell a Dick, da Brazil (Gilliam, 1985) a Flatlandia (Abbott, 1884), il lungometraggio d’esordio di Diego Felipe Guzmán, presentato in concorso alla ventiduesima edizione del ToHorror Film Fest, si rifà alle tradizioni fantascientifiche più tetre e alle tele cubiste più vivaci. Narrando di un futuro distopico ma non integralmente irrealistico, la stravagante animazione del film si rivela quale bizzarra ed eccentrica allegoria di un mondo odierno che saremo, forse, costretti ad abbandonare.

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“RAQUEL 1:1” di MARIANA BASTOS

“Mite come la pecorella”, “La mitezza di Dio”, “Pecora di Dio”. Raquel (Valentina Herszage), protagonista dell’omonimo film di Mariana Bastos, presentato alla ventiduesima edizione del TOHORROR Fantastic Film Fest, non ha alcuna intenzione di corrispondere al significato del suo stesso nome. Al contrario, attraverso una rilettura al limite della blasfemia, intende sovvertire il ruolo di tutte le donne cristiane finendo per scontrarsi contro la bigotta cittadina dove si è trasferita da poco insieme al padre.

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“ONE FOR THE ROAD” DI NATTAWUT POONPIRIYA

Dopo Countdown (2012) e Bad Genius (2017), Nattawut Poonpiryia torna al Far East Film Festival con One for the Road, un atipico buddy movie che si muove, attraverso innumerevoli flashback e flashforward, in diversi tempi e diversi spazi con la stessa facilità con la quale i protagonisti, Boss (Thanapob Leeratanakachorn) e Aood (Nattarat Nopparatayapon), si spostano tra Bangkok e New York.

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THE EDGE OF DAYBREAK DI TAIKI SAKPISIT

La sezione Incubator del TFF39 presenta il primo lungometraggio del regista thailandese Taiki Sakpisit. Partendo da un neo sul collo, passando al corpo di una bimba in fin di vita, fino ad arrivare ad un candido vestito bianco, il regista realizza il gelido affresco di un’inquietudine profonda trasformandola in pura poesia.

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“BULL” DI PAUL ANDREW WILLIAMS

«Se sopravvivo, vi uccido tutti» . Bull (Neil Maskell), rivolto ai suoi nemici, che un tempo erano la sua famiglia, pronuncia queste parole che sembrano costituire il banale prologo per un classico revenge movie. Il regista britannico, però, stupisce il pubblico del TFF39 e presenta una straordinaria opera che ha la sua essenza non nell’insperato e disperato bisogno di vendetta, ma in una spietata ricerca di salvezza.

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“LE BRUIT DES MOTEURS” DI PHILIPPE GRÉGOIRE

Infiniti titoli di testa, accompagnati da immagini di macchine da corsa che, sgommando, compiono infiniti giri su sé stesse, aprono il primo lungometraggio di Philippe Grégoire, presentato in concorso al TFF39. Il film, non rinunciando a un pungente umorismo, racconta uno squarcio della vita di Alexander Mastrogiuseppe (Robert Naylor), cresciuto a Napierville, sperduto e dimenticato paesino canadese, che si allontana dal suo luogo natale per lavorare alla dogana tra U.S.A. e Canada. Grégorie racconta lo stesso percorso che ha vissuto lui passando dalla vita nel suo paesino natio al lavoro come doganiere per potersi pagare gli studi di cinema. La migrazione verso un mondo altro è solo uno dei punti di contatto tra la vita del regista e quella del protagonista. Grégorie si concentra infatti proprio su quell’humus culturale cui lui stesso è legato grazie alla pista per gare automobilistiche che i suoi nonni costruirono a Napierville.

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