Tutti gli articoli di Giacomo Bona

“BREEDER” di JENS DAHL

In un’ex fabbrica di zucchero riadattata a laboratorio per la sperimentazione di terapie in grado di fermare l’invecchiamento, la dottoressa Ruben (Signe Egholm Olsen) conduce i suoi esperimenti, supportata finanziariamente da Thomas (Anders Heinrichsen). Le teorie della dottoressa, nello specifico una veterinaria, le consentono di trovare presto una cura efficace solo per gli uomini. La terapia per le donne, invece, non è così immediata e richiede ricerche supplementari, che vengono eseguite su cavie – tra le quali anche Mia (Sara Hjort Ditlevsen), moglie di Thomas – che vengono rapite dai due assistenti uomini di Ruben, il Cane e il Maiale.

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“EMA” DI PABLO LARRAÍN

Un semaforo brucia nella prima inquadratura. Una ragazza con lanciafiamme e capelli biondo platino osserva, poco distante. È Ema (Mariana Di Girolamo) e quel fuoco, con cui si apre l’ultimo film di Pablo Larraín e che non smetterà mai di ardere, è il fuoco che le brucia dentro. Il fuoco dei sensi di colpa causati dalla decisione di riportare in orfanotrofio Polo, il bambino adottato insieme al marito Gastòn (Gael García Bernal). È un fallimento che non le dà pace.

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ITALIANA.CORTI

Contravvenendo a una elementare regola di buona educazione si parlerà prima degli assenti: i corti di finzione. È forse il limite più grande della sezione Italiana.corti, che toglie spazio alla fiction concedendolo esclusivamente al documentario, alla docufiction, al mockumentary. Tornando alle buone maniere per quanto riguarda, invece, i presenti, la linea della selezione è chiara: si parte da una base di realtà. Reale che può essere alterato, rielaborato, persino negato, ma che è punto di partenza imprescindibile. La realtà catturata mentre accade, in sostanza. 

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“A WHITE, WHITE DAY” DI HYLNUR PÁLMASON

A White, White Day è un giorno bianco come la neve e come la nebbia d’Islanda. Ma è anche nero come il noir, e rosso come il sangue. L’incidente (letteralmente) scatenante che crea i presupposti da cui prende vita il film è la morte della moglie del protagonista Ingimundur (Ingvar Sigurdsson), un poliziotto che vive e lavora in un piccolo villaggio islandese lontano da tutto e da tutti. Ingimundur reprime il dolore e lo confina dentro se stesso, cercando di contenerlo e neutralizzarlo. Ma non ci riesce.

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“STARFISH” DI A.T. WHITE

La sensazione che si prova nel perdere una persona cara è quella di rimanere soli al mondo, di essere gli unici in grado di capire il dolore. Per Aubrey (Virginia Gardner), oltre al dramma della morte della sua migliore amica Grace (Christina Masterson), si aggiungono i sensi di colpa per non esserle stata accanto negli ultimi momenti della sua malattia. Il rimorso, appunto, la spinge a forzare la porta dell’appartamento dell’amica e a trascorrere lì la notte dopo il funerale. Al suo risveglio il villaggio è deserto, silenzioso in un modo anormale. In strada alcune valigie abbandonate sulla neve, rottami metallici, scie di sangue.

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