Archivi categoria: Eventi Vari

“Voci dall’universo” di Davide Livermore e Paolo Gep Cucco

Martedì 18 maggio è stata presentata l’istallazione multimediale Voci dall’Universo, visitabile gratuitamente dal pubblico nel cortile del Rettorato dell’Università di Torino fino al 7 giugno. Per l’occasione gli ideatori dell’opera, Davide Livermore e Paolo Gep Cucco, hanno tenuto una lezione presso l’Aula Magna della Cavallerizza Reale, che si è rivelata una profonda riflessione sulla loro carriera, sulla loro poetica e su alcuni temi di attualità. 

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TORINO JOB FILM DAYS

Nell’ambito delle celebrazioni di “Torino città del cinema 2020”, dal 21 al 23 settembre, presso il cinema Massimo, si è svolta la prima edizione dei “Torino Job Film Days”, festival dedicato ai diritti dei lavoratori, ma non solo.

Nato in occasione del settantesimo anniversario dello Statuto dei Lavoratori, il festival, diretto dalla dottoressa Annalisa Lantermo, medico del lavoro e dirigente della ASL di Torino, si è configurato infatti sia come un vero e proprio concorso aperto a cortometraggi documentari o di fiction dedicati, in varia forma, alla tematica, sia come un momento di riflessione sulla rappresentazione del lavoro nel cinema e sulla professioni fel cinema, in particolare nella tribolata fase post-pandemia di COVID-19.

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PROGETTO FOTOGRAFICO COVISIONS-19: “DALLA NOIA PUO’ NASCERE L’ARTE”

Presentazione a cura degli studenti del progetto “CoVisions-19”

L’emergenza Covid-19 ha modificato significativamente la vita accademica. Anche noi, studenti del corso di “Storia e Teoria della Fotografia”, non possiamo svolgere regolarmente le lezioni in aula. Per questo motivo, superando la distanza fisica, siamo stati coinvolti dalla professoressa Basano nella creazione di un progetto fotografico che risponde alla parola chiave “isolamento”. Il nostro obiettivo è ragionare sulle possibilità comunicative della fotografia e sul suo linguaggio, stimolare la creatività e superare i limiti fisici dell’isolamento. Il voler dar voce a “CoVisions-19” ha fatto sì che ognuno di noi prendesse parte al coro che si è levato, creando un filo conduttore tra gli studenti e legandosi ad altri progetti come quello del blog CineD@ms che pubblica qui la presentazione del nostro lavoro.

Se qualche mese fa avessimo potuto dare uno sguardo al futuro e ci fossimo visti chiusi in casa tra parole come quarantena e virus, probabilmente avremmo pensato di aver confuso il nastro della nostra vita con quello di qualche film apocalittico a tema contagio globale. Proprio perché inaspettato, questo momento ci ha colto impreparati, soprattutto concretamente e ideologicamente. Il tempo, più o meno lungo, di cui abbiamo avuto bisogno per comprendere cosa stesse succedendo intorno a noi (e poi proprio a noi), è terminato quando ci siamo ritrovati in casa ad ascoltare o leggere il “divieto assoluto di lasciare la propria abitazione”.

Anche i più restii a capire quello che realmente stava accadendo, dopo un ultimo e sicuro aperitivo e un’ultima boccata di sana aria fresca, hanno compreso infine che, forse per la prima volta, per superare questo momento sono necessarie la partecipazione e collaborazione di tutti. Non abbiamo dovuto attendere molto per vedere il risultato degli impegni di ognuno di noi ridotti improvvisamente a zero: social e canali media ci hanno però aiutato a condividere le soluzioni più innovative o divertenti alla condizione di isolamento. Abbiamo visto, sulla colonna sonora del virus in crescita, sport in casa e cori dai balconi, battute, grandi discorsi, scontri e incontri. Abbiamo visto nelle reazioni individuali una nuova collettività, un senso di appartenenza, gli uni agli altri e tutti allo stesso paese, che non si vedeva da tempo.

“Decameron” di Enrico Turletti
Foto in alto: “Autoritratto in isolamento (2)” di Eva Petrillo

Nel nostro caso, grazie al corso della prof.ssa Roberta Basano “Storia e teoria della fotografia”, abbiamo avuto la possibilità di partecipare di un mondo che non può essere quello che è se vissuto individualmente: la fotografia. L’atto di creazione di una fotografia non si limita allo scatto: l’immagine esige di essere mostrata, condivisa, esplicitata. La fotografia vuole dibattiti, scontri e prese di posizione. In breve, la fotografia è uno tra i tanti linguaggi artistici che incorpora in sé tanta più forza quando essa è condivisa. È proprio a questo scopo che nasce il progetto intitolato “CoVisions-19”. Questo consiste nel condividere, dapprima su archivi online ed ora sui social, fotografie che rispondano allo stesso tema. In questa prima fase ci siamo impegnati per realizzare scatti che rispondessero alla parola “isolamento”.

I risultati – caricati quotidianamente sulla pagina Instagram @covisions_19 – mostrano come un momento di frustrazione possa essere usato per creare, e come anche i sentimenti negativi o i momenti difficili possano trovare un loro sfogo creativo. “CoVision-19” permette alla fotografia di prendersi un piccolo spazio di espressione e comunicazione, attraverso diverse immagini e attraverso le parole che ne sono la cornice. Il progetto, però, non serve solo a ricordarci la forza dell’arte e l’importanza del legame tra immagine e descrizione, serve anche a dare prova della potenza della creatività. Ci mostra quanto sia forte una mente che crea e quanto siano belle le idee che da essa nascono. Le fotografie nate in questo progetto sono la prova di come la risposta di ognuno di noi al mondo contagiato di oggi possa creare qualcosa di bello.

Gli studenti del progetto “CoVisions-19”

MASTERCLASS – AMOS GITAI

Il 2020 è un anno importante per Torino, che diventa “Città del Cinema” in occasione del ventesimo anniversario dell’apertura del Museo Nazionale del Cinema nella Mole Antonelliana e della nascita di Film Commission Torino Piemonte. Nel ricco programma di eventi che accompagnerà le celebrazioni, la suggestiva Aula del Tempio del Museo si fa cornice di venti Masterclass con grandi maestri del cinema internazionale, inaugurate ieri, 28 gennaio, alle 18:00 dal direttore del museo Domenico De Gaetano. Il protagonista e ospite di eccezione della prima Masterclass è stato il regista israeliano Amos Gitai. Con lui ha dialogato la critica cinematografica Grazia Paganelli, supportata dalla prontissima traduttrice Gigliola Miglietti.

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“The truth about killer robots” di di Maxim Pozdorovkin

Non bisogna farsi trarre in inganno dal titolo del documentario di Maxim Pozdorovkin The Truth About Killer Robots: non ci troviamo davanti a un lavoro di science fiction in cui le macchine si ribellano e uccidono gli umani, e quella a cui assistiamo è un’invasione graduale e più subdola. Il regista utilizza il pretesto dell’indagine sulla morte delle prime vittime di intelligenze artificiali per mostrarci come la tecnologia stia evolvendo, trasformando totalmente il nostro modo di fruire di determinati beni e servizi.

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FESTIVAL DI CANNES 2019

Si è chiusa sabato 25 maggio la 72esima edizione del Festival di Cannes, in cui l’Asia ha trionfato per il secondo anno consecutivo. Dopo la vittoria nella passata edizione del giapponese Kore’eda, la Palma d’Oro è stata infatti assegnata al regista sud-coreano Bong Joon-ho, che con Parasite conferma la sua abilità nel reinterpretare il cinema di genere.

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“THE CONNECTION” DI SHIRLEY CLARKE

Nel 1959 il Living Theatre metteva in scena la pièce di Jack Gelber The Connection; due anni dopo la versione cinematografica arrivava a Cannes. Il Torino Fringe Festival ha proposto al pubblico torinese la versione restaurata del primo lungometraggio di Shirley Clarke, in una proiezione presso i suggestivi spazi dell’Unione Culturale Franco Antonicelli, che già aveva ospitato le opere della regista statunitense durante la seconda rassegna del The New American Cinema Group curata da Edoardo Fadini nel 1968.

Facile comprendere perché al momento della sua uscita il film abbia avuto vita difficile, subendo persino la censura per via del linguaggio troppo disinvolto nel trattare un tema già di per sé scottante come la tossicodipendenza. Una macchina da presa irrequieta, guidata da un cameraman e da una regista altrettanto irrequieti, ci permette infatti di vedere cosa avviene in un appartamento del Greenwich Village, mentre un gruppo di musicisti jazz eroinomani aspetta che arrivi il contatto che porterà loro la prossima dose. Il film, nel suo essere uno spassoso esempio di metacinema, è incredibilmente abile nel portare avanti una riflessione non tanto sulla droga quanto sulla dipendenza e sulla condizione umana, con diversi tocchi di ironia che gli permettono di dipanarsi e sciogliersi con fluidità.

L’opera, restaurata da Ross Lippman e distribuita da Reading Bloom, è inserita all’interno della nuova sezione Cinema del Torino Fringe Festival, che ha dedicato a Clarke la mostra Portrait of Shirley: un’inedita collezione di fotografie e video allestiti nella sala “Living” dell’Unione Culturale. Accanto alla mostra, durante la durata del festival, le performance di alcuni artisti e cineasti francesi e italiani protagonisti della rassegna “Pellicola in scena”, curata da Clizia Centorrino.

Tantissime occasioni da non perdere quindi in questo maggio torinese in pieno mood FRIdom!

Ricordo di Agnès Varda

Nella notte tra giovedì 28 e venerdì 29 marzo è venuta a mancare Agnès Varda. Nata in Belgio da madre francese e da padre rifugiato greco, Varda si laurea alla Sorbona per poi intraprendere lo studio della storia dell’arte e della fotografia. Dopo aver lavorato inizialmente come fotografa di matrimoni e poi come fotoreporter, la sua carriera cinematografica – lunga quasi sessantacinque anni – inizia con un film tradizionalmente ritenuto un precursore della Nouvelle Vague, e cioè La Pointe Courte (1955). Il film fu montato da Alain Resnais e Henri Colpi, esponenti, insieme a Varda, della Rive Gauche della Nouvelle Vague, ed è esemplificativo del suo modo di intendere il cinema: trovandosi in un borgo di pescatori sulla costa Sud della Francia a fare delle foto, Varda rimase ispirata dagli scatti, scrisse una sceneggiatura e girò il film senza alcuna esperienza precedente ed avendo visto, per sua stessa ammissione, soltanto una ventina di film prima di allora. Fotografia e cinema sono sempre stati per Varda linguaggi costantemente in dialogo. Come dichiarò nel 2015 alla rivista Sight & Sound: “Faccio foto o giro film. O metto film nelle foto, o foto nei film”.

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“A MOZZARELLA NIGGA” DI DEMETRIO SALVI

Il Torino Underground Cinefest, giunto alla sua sesta edizione, è un festival che dimostra quanto si possa riuscire a fare cinema anche senza grandi produzioni alle spalle: il documentario A Mozzarella Nigga di Demetrio Salvi si colloca proprio in una dimensione povera di strumenti ma ricca di contenuti. La scelta produttiva, ovvero quella di raccontare una storia con un budget davvero irrisorio, di soli mille euro, è frutto di una tensione artistica forte, tesa alla libertà: mettere a disposizione i propri (pochi) soldi vuol dire essere liberi di mostrare ciò che più si desidera, senza limiti, costrizioni e obblighi imposti da una produzione.

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RICORDO DI BERNARDO BERTOLUCCI

Bernardo Bertolucci, maestro del cinema conosciuto e amato in tutto il mondo, è scomparso il 26 novembre 2018 mentre era in corso il Torino Film Festival 36. La Direttrice Emanuela Martini ha subito voluto rendergli omaggio facendo preparare un breve video in suo onore da proiettare prima dei film in programmazione e dedicandogli una piccola retrospettiva nella giornata del 2 dicembre. Questa la sua dichiarazione: «Era un visionario, un intellettuale, soprattutto un sognatore. Bernardo Bertolucci ha fatto il cinema come non immaginavamo più di farlo: più grande della vita, e per questo capace di restituirci tutta la vita, e la Storia, e la memoria, e il futuro, nella loro profondità. Tragedie di ideali che si frantumano, di uomini e donne che si perdono in rapporti impossibili, affreschi magnifici del nostro passato recente e bruciante, di imperatori e Buddha e ragazzi e ragazze in cerca di identità. Ragazzi e ragazze che sognano, a Parigi come altrove, la loro vita, un’altra vita, migliore. Meno di venti film in quasi cinquant’anni di carriera sono troppo pochi per uno dei più grandi registi del mondo».

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LUCIANO TOVOLI: L’USO DEL TECHNICOLOR E I MAESTRI POWELL E PRESSBURGER

Ogni anno il Torino Film Festival in collaborazione con il DAMS dell’Università degli Studi di Torino organizza un incontro con una figura rilevante della storia della cinematografia italiana. Quest’anno è stata la volta di uno dei più illustri direttori della fotografia: Luciano Tovoli. Presenta Emanuela Martini e al tavolo insieme a Tovoli, siedono Franco Prono e Piercesare Stagni. La sala è gremita e la masterclass non tradisce le attese. Continua la lettura di LUCIANO TOVOLI: L’USO DEL TECHNICOLOR E I MAESTRI POWELL E PRESSBURGER

RICHARD DYER PRESENTA LA MONOGRAFIA SU “LA DOLCE VITA”

Se chiedessimo a studiosi e appassionati di nominare il più iconico o il più famoso film della storia del cinema italiano, La dolce vita guadagnerebbe senza dubbio il posto d’onore.

Nel 1960 Federico Fellini realizzava la sua opera più celebre, destinata a diventare non solo uno dei film più importanti della storia del cinema, ma anche un’ispirazione, un riferimento, un modello, per il cinema e non solo, sia in Italia che all’estero.

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“Microbo & Gasolina” di Michel Gondry – 2

Al centro della storia due adolescenti, Daniel e Theo, i Microbo e Gasolina del titolo. Uniti da grande amicizia decidono di sfruttare le abilità meccaniche di Theo per costruire un’automobile con la quale girare la Francia durante le vacanze estive. Il tutto all’insaputa dei loro genitori. Continua la lettura di “Microbo & Gasolina” di Michel Gondry – 2

“Suburra” di Stefano Sollima – 2

La selvaggia parata di Suburra: una questione privata

Quello di Suburra è un immaginario che si dipana su orizzonti disparati, disorientanti ma mai incoerenti. Questo massimalismo tematico, prima ancora che stilistico, obbliga qualsiasi spettatore, dal più critico al più disinteressato, a confrontarsi con un torrente di questioni politiche e morali, a fare appello a memorie storiche e affettive, a calarsi in una contemporaneità che non puzza lontanamente di cronaca. L’ultima fatica di Stefano Sollima e della sua giustamente definita da qualcuno “bottega” scansa in questo modo il pericolo sempre dietro l’angolo di un postmodernismo facile, bandendo così dallo schermo qualsiasi tentazione di pastiche cinefelo e costruendo la narrazione su due figure che risultano sorprendentemente consone ed attuali ad una tale opera: l’iperbole e l’allegoria. Questo pare chiaro sin dal primo cartello: “5 Novembre 2011 – Sette Giorni Prima Dell’Apocalisse”.

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“Suburra” di Stefano Sollima – 1

Cinclinazione alla violenza e alla rabbia di una generazione senza via di scampo

Quello che viene ritratto in Suburra, l’ultimo film di Stefano Sollima, è un quadro complesso. La sua protagonista è Roma, la città eterna, simbolo di un’Italia che si dimena affannosamente in un presente più che mai contraddittorio. Quello che il regista romano porta avanti ormai da quasi dieci anni è un discorso sulla violenza, le sue forme e le sue modalità, declinate in un contesto che è quello del film di genere. Il modus operandi è ormai consolidato, il soggetto viene prelevato da una fonte letteraria (Cataldo, Bonini, Saviano) per poi essere rielaborato attraverso il linguaggio cinematografico.

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“Lo chiamavano Jeeg Robot” di Gabriele Mainetti

Roma, giorni nostri. Protagonista Enzo Ceccotti, ladruncolo di periferia che si barcamena tra piccoli furti nella speranza di non essere preso. Ma in fondo non è nessuno, mai riuscito ad entrare nel giro della criminalità che conta, schivo, deluso dalla vita e ancor più da se stesso.

Claudio Santamaria calza a pennello nel ruolo del nuovo superhero italiano, per interpretare il quale è dovuto aumentare di peso di ben 20 kg, 100 in tutto. Il film, ispirato alla serie manga Jeeg Robot d’acciaio di Go Nagai, è un film d’azione moderno, a cui viene però aggiunta una buona dose di ironia. È il mito dell’uomo qualunque che, in seguito ad un incidente, riceve super poteri tali da poter cambiare il mondo. O così crede Alessia (Ilenia Pastorelli), protagonista femminile che, vittima di violenza domestica e mentalmente disturbata, è ossessionata dall’idea che Hiroshi Shiba, eroe della serie, esista nel mondo reale e che proprio Enzo sia il fatidico Jeeg Robot d’acciaio. L’uomo compie così un percorso verso la redenzione, maturando la consapevolezza di avere un obbligo morale.

Nel cast, minuziosamente scelto dal regista Gabriele Mainetti, in stretta collaborazione con lo sceneggiatore Guaglianone, risalta un personaggio eccezionale: lo Zingaro, Luca Marinelli, boss eccentrico fino alla follia, innamorato della propria immagine e del sogno di diventare famoso e rispettato dalla malavita, che cerca di carpire i segreti della sovraumana forza fisica, ma non solo, del protagonista.

Ciò che emerge dal lungometraggio è la facilità con cui le storie che assorbiamo influenzano la nostra vita. Alessia crede che Jeeg Robot esista; Enzo, nonostante sappia non sia così, lentamente comincia a crederci e a ragionare da eroe (emblematico il gesto di sostituire i film porno con i dvd della serie animata).

Si tratta di un film come non se ne vedono molti in Italia, che prende solo il meglio dai più gettonati superhero movies americani. Un cinema di intrattenimento che nonostante il basso budget (1.700.000 euro) guadagna più di un posto d’onore alla premiazione dei David di Donatello e soprattutto riesce a far nascere in ciascuno di noi la domanda: possono ancora esistere, fra noi, uomini così fuori dall’ordinario?

Alice Dall’Agnol, studentessa del Corso di Critica cinematografica (DAMS, a.a. 2015-2016)

 

“Microbo & Gasolina” di Michel Gondry – 1

Quanti di noi da piccoli davanti a un foglio bianco non hanno mai disegnato una casa? Tetto rosso triangolare e finestre come occhi sorridenti, oppure assi di legno inchiodate? E quanti, spinti da un’immaginazione un po’ stereotipata, non ci hanno mai aggiunto quattro ruote, e un asfalto su cui zigzagare? Il film di Michel Gondry dà tridimensionalità a quel sogno comune, calandolo in una Francia problematica nell’istruzione e nei nuclei familiari. Microbo e Gasolina sono le vittime di questi due mondi: troppo “diversi” per adattarsi alla scuola (i soprannomi provengono proprio da lì, e dal bullismo dilagante), troppo liberi per restare nel nido di famiglie dure e distanti. Continua la lettura di “Microbo & Gasolina” di Michel Gondry – 1

“Sole alto” di Dalibor Matanić

Metafora di amore flagellato da guerra culturale, sociale e politica nella ex Jugoslavia.

Sole alto, film croato del 2015 vincitore del Premio della Giuria di Cannes dello stesso anno, è metafora di vita e amore, di conflitto e passione, di lotta umana e natura. Quest’ultima invade il film in tutta la sua interezza: in ogni episodio; in ogni scena, inquadratura.

Natura in contrasto con la modernità e con l’uomo che tenta di piegarla, uscendo sempre sconfitto. I protagonisti del primo episodio, Jelena e Ivan, 1991 fumano di fronte ad un lago e qualche minuto dopo alcune camionette, con degli uomini armati a bordo, attraversano un prato incontaminato. Case devastate e i loro scheletri si ergono tra gli alberi con sottofondo di fruscio di foglie e canto di uccelli nel secondo episodio, Nataşa e Ante, 2001. Il Rave del terzo episodio, Marija e Luka, 2011 appare circondato dalla natura, la quale infine vince quando Luka torna dalla donna amata. La natura vittoriosa, quindi, fa riflettere Luka, ossia l’uomo.

È esemplare l’uso del dettaglio: il ragno sotto un quadro o su una finestra, il cibo in una busta prima che Jelena parta, la valigia della stessa, la campanella e il libro tra le macerie della scuola, la tromba in mano ad Ivan. Il dettaglio onnipresente è quello di un cane, nero. Un cane guida è davanti a Luka mentre torna a casa, un cane spettatore guarda l’auto di Ante che va via dalla casa di Nataşa.

Un uso eccellente del Primo Piano mette in risalto l’elevata interpretazione degli attori protagonisti (Tihana Lazović e Goran Marković): si vedano gli sputi di Goran durante i litigi, la riflessione di Tihana accovacciata tra due muri, la scena di sesso tra Nataşa e Ante, prima che lei rifiuti il bacio e gli dica: “abbiamo finito”.

Insomma, un film d’autore che potrebbe delineare delle basi solide per un ritorno di tematiche ancora forti.

Davide Ferraro, studente del Corso di Critica cinematografica (DAMS, a.a. 2015-2016)

“Nodo alla gola” (“Rope”) di Alfred Hitchcock

Il primo film a colori di Alfred Hitchcock, basato interamente sul piano sequenza, non è semplicemente un film sperimentale. La cura con cui vengono descritte due menti deviate che si macchiano di un omicidio per il puro gusto di farlo sfida il codice Hays con la sottintesa omosessualità di Brandon e Philip. I due sono legati da un rapporto servo-padrone: Brandon, la mente criminale attratta dal brivido del delitto perfetto, architetta un buffet sopra il sarcofago del morto, invitando – qui sta l’humour necrofilo e perverso – i parenti della vittima, nonché la sua fidanzata e il suo migliore amico. La provocazione di Brandon sta anche nell’invitare un suo vecchio insegnante di filosofia, Rupert Cadell (interpretato da James Stewart), intollerante verso le convenzioni sociali e sostenitore di una nietzschiana teoria sull’omicidio riservato a pochi eletti, ovviamente presa alla lettera e fraintesa dagli assassini.

Sarà il nervosismo di Philip, anello debole della catena, a fare insospettire Rupert e a portarlo allo svelamento dei colpevoli. Il titolo del film, infatti, non si riferisce soltanto allo strangolamento, ma anche al senso di angoscia provocato dall’uccisione. Ma la vera protagonista del film è la macchina da presa che segue i personaggi non solo nei loro movimenti, ma talvolta anche nei loro ragionamenti: lo dimostra la finale ricostruzione del delitto da parte di Rupert. I raccordi sulla schiena (la tecnica di allora non avrebbe permesso di realizzare un unico piano sequenza) e la recitazione degli attori condizionati dagli ostacoli del set e dall’ingombro dei macchinari tecnici, aumentano il senso di claustrofobia e tensione nevrotica. Non a caso, oltre a Nietzsche, viene più volte citato Freud: gli oggetti non sono semplicemente “prove” ma veri e propri “simboli”, come il portasigarette che serve a Rupert per incastrare i colpevoli.

Carlo Montrucchio, studente del Corso di Critica   cinematografica (DAMS, a.a. 2015-2016)