Archivi categoria: TFF 34 – 2016

“The Love Witch” di Anna Biller

Anna Biller è una regista che si può definire “artigiana” in tutti i sensi: si occupa da sola della regia, della sceneggiatura, dei costumi, della fotografia, del montaggio e della produzione; in questo film per la prima volta non appare come attrice, scegliendo come protagonista la bellissima Samantha Robinson, in grado di unire la sensualità e l’empatia necessaria per dar vita a una figura di strega-sirena (un binomio che – come ha dichiarato la regista – è difficile da mettere in scena oggigiorno).

La regista, ammiratrice del cinema di Pasolini, giustifica la scelta della dimensione artigianale con motivazioni economiche e con la volontà di lavorare in sintonia con alcuni tradizionali e meticolosi lavori femminili come la tessitura e il ricamo.

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“Mercenaire” by Sacha Wolff

Versione inglese a cura del Master in Traduzione per il Cinema, la Televisione e l’Editoria Multimediale

Article by: Carlo Montrucchio

Translation by: Giulia Epiro, Chiara Mutti

The Wallis Islands community, in New Caledonia, is crying for young Soane’s departure towards an apparently thriving and promising future, which will certainly be better than his perspectives as a Maori community member. Though he is leaving, his back will always wear the scars of his father’s beatings, who is a tough pig farmer.

The journey of young and talented rugby player Soane will turn out to be the price to pay for the freedom he has always searched inside his heart. France, apparently civil and modern, is just the other face of Wallis. If the latter is a wild and insidious land, the new country, rich in comforts and services, is just not the right place for the naïve protagonist.

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“Mercenaire” (“Mercenary”) di Sacha Wolff

La comunità delle isole Wallis in Nuova Caledonia piange il giovane Soane per la sua partenza verso un futuro apparentemente florido e promettente, sicuramente migliore delle prospettive che avrebbe avuto vivendo nella comunità Maori. La sua schiena porterà per sempre i solchi delle vergate che il padre, duro allevatore di maiali, gli ha inferto per la sua partenza.

Il viaggio di Soane, giovane promessa del rugby, si rivelerà il prezzo da pagare per la libertà che ha sempre cercato nel suo cuore; la Francia, paese apparentemente civile e moderno, non è che l’altra faccia di Wallis: se quest’ultima è una terra selvaggia e insidiosa, ma forte di tradizione, il nuovo paese, ricco di servizi e confort, non è affatto un luogo adatto al giovane e ingenuo protagonista.

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“La lingua dei furfanti” di Elisabetta Sgarbi – Conferenza stampa

La lingua dei furfanti è l’ultimo film di Elisabetta Sgarbi, presentato in anteprima assoluta nella sezione Festa Mobile al 34° Torino Film Festival. L’opera si ispira al libro La Sistina dei poveri di Giovanni Reale.

“Un film ininterrotto, questo” – dice Elisabetta Sgarbi -, “che mi segue da anni. Anzi da cui sono inseguita da anni, da prima di conoscere la Valle Camonica, da prima di conoscere Romanino: da quando mio zio Bruno, mia madre Rina, e poi mio fratello Vittorio, si arrampicavano sin lassù, precedendomi. Così che questo film, così personale nei modi, mi sembra una strana biografia familiare, un mio nascosto romanzo di formazione, che ho condiviso con un altro amico e compagno di avventure, Giovanni Reale.”

L’interesse di Elisabetta Sgarbi è quindi rivolto a Girolamo Romanino e torna in Valle Camonica, dopo il suo lavoro sulla Via Crucis di Cerveno di Beniamino Simoni, avendo in mente le dense parole di Testori, e presenti le puntuali ricostruzioni di Giovanni Reale (che dimostrano la profonda conoscenza della materia di fede che aveva Romanino).

Elisabetta Sgarbi
Elisabetta Sgarbi

 

Giovanni Testori scriveva: “a Pisogne, a Breno, a Bienno Romanino tiri a far ‘cagnara’, non v’ha dubbio alcuno. Egli sembra costringere i suoi personaggi a venire sulla scena a furia di calci nel sedere; e non è meraviglia che, una volta lì, essi, tra impetuosa incapacità a organizzarsi, in lingua e vergogna, finiscano col gonfiar tutto; a cominciare dalle loro stesse membra per finire alle parole che ruttan fuori quasi nubi di fumetti odoranti d’osteria, e alle piume dei cappellacci, che si rizzano, unte e bisunte, come quelli di tacchini incazzati.”

La regista assume come oggetto del proprio lavoro il ciclo di affreschi che il pittore realizzò tra il 1532 e il 1541 in tre chiese a Pisogne, Breno e Bienno in provincia di Brescia, si muove tra le case e gli abitanti dei tre paesi che Romanino aveva osservato a lungo e concentra l’attenzione sui dettagli nascosti dei dipinti.

Elisabetta Sgarbi sottolinea quanto siadi fondamentale importanza la voce narrante Toni Servillo, il cui timbro caldo, unito alle doti interpretative, riesce a “far parlare i personaggi” degli affreschi e ad esaltare sfumature e risvolti rappresentativi. Anche la musica di Franco Battiato si inserisce perfettamente in questo viaggio di scoperta.

 

“Intolerance” by David Wark Griffith

Versione inglese a cura del Master in Traduzione per il Cinema, la Televisione e l’Editoria Multimediale

Article by: Giorgia Lodato

Translation by: Silvia Restelli, Chiara Tomasetta

Emanuela Martini has introduced the screening of the restored version of Intolerance by David Wark Griffith saying she was a bit jealous of the spectators who would have the possibility to watch such an important film on the big screen, after ten years from its first showing. The turnout – as she said – was impressive, taking into account the duration of the movie.

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“Intolerance” di David Wark Griffith

Emanuela Martini ha introdotto la proiezione della versione restaurata di Intolerance di David Wark Griffith dicendosi un po’ invidiosa di tutti gli spettatori che avrebbero avuto la possibilità di vedere un film come questo sul grande schermo, a cent’anni dalla sua uscita. L’affluenza – ha aggiunto – è stata sorprendente, tenuto conto della durata del film.

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“Chi mi ha incontrato, non mi ha visto” di Bruno Bigoni – Conferenza stampa

È una storia singolare quella di Chi mi ha incontrato, non mi ha visto. L’ultima fotografia di Arthur Rimbaud, l’ultimo film del regista milanese Bruno Bigoni. Un documentario travestito da mockumentary (o viceversa?), è la dimostrazione di ciò che è accaduto al regista dal giorno in cui una misteriosa donna francese gli propone l’acquisto di una fotografia che raffigurerebbe nientemeno che Arthur Rimbaud su un letto di ospedale, la gamba destra amputata e in mano un foglio su cui sono scritti alcuni versi inediti e mai pubblicati nelle opere del poeta bambino.

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“Wir sind die Flut” (“We Are the Tide”) di Sebastian Hilger

“L’ immaginazione può trasformare un’idea proveniente da una lezione teorica in una sconvolgente esperienza emotiva. Per questo abbiamo scelto di raccontare We Are the Tide come una moderno lungometraggio di science- fiction“. Queste le parole di Sebastian Hilger, regista del film Wir sind die Flut, in corsa in questo trentaquattresimo Torino Film Festival.

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“#Screamers” di Dean Matthew Ronalds – Conferenza stampa

#Screamers è un film molto particolare. Si apre come un documentario su una piattaforma di social network, per poi mutare gradualmente in un horror a tinte molto oscure.

Il regista Dean Matthew Ronalds e l’attore protagonista e coproduttore Tom Malloy ci spiegano che questa commistione di generi ha come fine principale quello di sollevare sin dall’inizio il dubbio nella mente dello spettatore. Si tratta di un horror o di un documentario? Giocare con i generi diventa quindi un modo per creare qualcosa di completamente diverso. Un ibrido, che per un’ampia parte iniziale sviluppa la trama, focalizzandosi molto sulla costruzione del carattere dei  personaggi.

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“Wir sind die Flut” (“We Are the Tide”) by Sebastian Hilger

Versione inglese a cura del Master in Traduzione per il Cinema, la Televisione e l’Editoria Multimediale

Article by: Alessia Durante

Translation by: Federica Betti, Ilaria Loiacono

“Imagination is able to transform an idea coming from a theoretical lesson into an upsetting emotional experience. For that reason, we’ve decided to tell We Are The Tide as a modern sci-fi feature film”. Those are Sebastian Higle’s words, the director of Wir sind die Flut, running for the 34° edition of the Torino Film Festival.

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“Suntan” di Argyris Papadimitropoulos

L’isola di Antiparos, in piena stagione turistica, è una piccola oasi dove la gioventù è regina. Le spiagge sono gremite di gruppi di ragazzi il cui unico pensiero è vivere la giornata e godersi la frenesia estiva. Corpi tonici, abbronzati, nudi. Come quello di Anna. In paese la mole di lavoro è aumentata per i commercianti e anche per Kostis, il medico di base. Lui è sulla quarantina, è pallido e ha qualche chilo di troppo. Quando Anna, accidentalmente caduta dal motorino, invade la clinica con la sua vivace sensualità, Kostis ne rimane subito folgorato e non riuscirà più a togliersela dalla testa.

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“Slam – Tutto per una ragazza” di Andrea Molaioli

Il termine slam può assumere diversi significati: può essere il suono onomatopeico che riproduce un rumore secco, come di una porta chiusa con forza (to slam, sbattere), o di una sberla in piena faccia; ma è anche un vocabolo specifico nel linguaggio degli skaters. Per questo motivo è anche molto simile al soprannome del protagonista dell’ultimo film di Andrea Molaioli (La ragazza del lago, Il gioiellino), l’adattamento cinematografico, molto fedele, del romanzo di Nick Hornby, Tutto per una ragazza.

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“Slam – Tutto per una ragazza” by Andrea Molaioli

Versione inglese a cura del Master in Traduzione per il Cinema, la Televisione e l’Editoria Multimediale

Article by: Sofia Nadalini

Translation by: Riccardo Abba, Barbara Lisè

The term slam can have different meanings: it can refer to the abrupt onomatopoeic sound of a door being shut, or of a slap on the face; but it is also a specific slang term used by skaters. For this reason, it is also very similar to the protagonist’s nickname in the latest film by Andrea Molaioli (La ragazza del lago, Il gioiellino), a very accurate cinematographic adaptation of Nick Hornby’s novel Slam.

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“Demon Seed” by Donald Cammell

Versione inglese a cura del Master in Traduzione per il Cinema, la Televisione e l’Editoria Multimediale

Article by: Valentina Di Noi

Translation by: Silvia Cometti, Miriam Todesco

Demon Seed is a 1977 movie directed by Donald Cammell, based on a sci-fi novel by Dean R. Koontz.

Alex Harris (Fritz Weaver) is a scientist who creates a super-computer, Proteus, with its own intelligence, and its task is to find a way to extract metals from the bottom of the sea. But Proteus hasn’t the slightest interest in doing that, so it makes clear to his creator that its interest is a research on the humankind. The scientist, worried, declines this proposal, denying the existence of a free server.

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“Demon Seed” di Donald Cammell

Demon Seed è un film del 1977 diretto da Donald Cammell, basato su un romanzo fantascientifico di Dean R. Koontz.

Alex Harris (Fritz Weaver) è uno scienziato che crea un supercomputer, Proteus, dotato di un’intelligenza propria e destinato a studiare un modo per l’estrazione di metalli dal fondo marino. Ma Proteus non è per niente interessato a ciò. Così, senza mezzi termini fa capire al suo creatore che vorrebbe utilizzare un server per una ricerca sul genere umano. Lo scienziato, preoccupato, declina la sua proposta negando l’esistenza di un server libero.

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“Palombella rossa” di Nanni Moretti – Il restauro

“Se parli male, pensi male e vivi male”.

Protagosta di Palombella rossa, film realizzato da Nanni Moretti nel 1989, è Michele Apicella, funzionario del PCI reduce da un incidente che gli ha causato la perdita della memoria, il quale vive in una giornata la gravità della perdita di memoria del suo partito e del Paese in generale. Il suo discorso negli studi di Tribuna Politica si alterna all’attaccamento ai ricordi d’infanzia, dove Michele grida la sua avversione alla pallanuoto. I ricordi sono sempre più frequenti e la coscienza del significato dell’essere comunista si fa riconoscere attraverso le scene più celebri del film Il Dottor Živago. 

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“Marie et les naufragés” by Sébastien Betbeder

Versione inglese a cura del Master in Traduzione per il Cinema, la Televisione e l’Editoria Multimediale

Article by: Giorgia Bertino

Translation by: Elisa Grattarola, Elena Salama

A funny comedy with a bittersweet aftertaste that tells the story of a Wes Anderson-like love triangle, with extravagant implications, but also with the typical French light-comedy. This is the exquisite recipe proposed by Sébastien Betbeder in Marie et les naufragés: a film deliciously unconventional, starting from the comedy to become something more complex. There is a lot of laughing, that is for sure, but the comedy of each situation leads always to a deeper consideration about life and human relationships.

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