“Ya tayr el tayer” (“The Idol”) di Hany Abu-Assad – Conferenza Stampa

“Ero completamente assorto nello schermo, nella piazza di Nazareth, insieme ad altre migliaia di persone e attendevamo il verdetto finale di Arab Idol; nel momento della vittoria ho saltato e ho esultato come un bambino.” (Hany Abu-Assad)

Ieri mattina in sala Conferenze stampa erano presenti Hany Abu-Assad e Amira Diab, regista e produttrice di “Ya tayr el tayer” (“The Idol“), film che racconta l’incredibile storia di Mohammad Assaf, vincitore del talent “Arab Idol” nel 2013. Il regista ci svela fin da subito di aver cambiato alcuni particolari della vita del ragazzo, ad esempio sua sorella maggiore morì da piccola a causa di un problema cardiaco, mentre nel film muore per un’insufficienza renale: scelta che sembrava visivamente più interessante.

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Tavola rotonda “Cose che verranno”

Torino, 26 novembre 2015 – Si è tenuta oggi al Campus Luigi Einaudi una tavola rotonda intitolata “Cose che verranno” e dedicata al cinema di fantascienza. Relatori sono stati Emanuela Martini, Riccardo Fassone, Andrea Fornasiero, Emiliano Morreale, F

Gli onori di casa sono stati affidati alla direttrice del Torino Film Festival Emanuela Martini, la quale ha illustrato i diversi temi del dibattito e spiegato le motivazioni con cui sono stati scelti i film inseriti nella retrospettiva del cinema di fantascienza in corso al Festival, intitolata “Cose che verranno”.

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“The Forbidden Room” di Gay Maddin e Evan Johnson

Protagonisti della sezione After hours sono senza dubbio Gay Maddin e Evan Johnson con il meraviglioso The Forbidden Room, un film che sciocca e lascia a bocca aperta se si pensa a quanta maestria c’è in quest’opera così fuori dagli schemi.

The Forbidden Room è un omaggio al cinema degli anni ’20 e ’30.  perché Maddin ha imitato i film del muto e dei primi anni del sonoro con atmosfere espressioniste in chiave post-moderna.

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Lamb di Ross Partridge

 

Il film “Lamb”, di Ross Partridge, è stato presentato nella sezione Festa Mobile al 33° Torino Film Festival.

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Un uomo di mezza età, David Lamb, interpretato dallo stesso Partridge, dopo essere stato lasciato dalla moglie e aver assistito alla morte del padre, è preso dalla solitudine e entra in depressione.Nel parcheggio di un supermercato, per caso, incontra una bambina di undici anni, Tommie (Oona Laurence), anche lei sola, derisa dalle compagne e trascurata dai genitori. Tra i due nasce un sentimento ambiguo e fuori luogo che li porta a scappare insieme verso la vecchia casa del padre di David, spersa nelle praterie. Percorrono un lungo viaggio, si conoscono, imparano a fidarsi l’uno dell’altro, diventano complici; nulla intorno a loro è importante, sono come racchiusi in una bolla che li separa da tutto ciò che li circonda, presi nello scoprire questo nuovo sentimento. Al mondo esterno sono dedicati pochi momenti, pochi squarci di periferia americana e di natura vasta e selvaggia, come i cavalli che la bambina ha sempre sognato di vedere.

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Ross Partridge traspone il romanzo omonimo di Bonnie Nadzam e con grande coraggio affronta un tema complicato da capire e da accettare, quale l’amore tra un uomo adulto e una bambina; un rapporto ambiguo, che lascia lo spettatore nella costante ansia che ci sia un risvolto violento nella storia; ma tra David e Tommie nasce un amore vero, al quale è difficile rinunciare.

Bravi nell’interpretazione gli attori protagonisti, Partridge e Laurence, che hanno saputo rendere al meglio e con grande espressività due personaggi sfaccettati e complessi. Frutto di una produzione indipendente, girato in soli diciotto mesi, il film ha una storia insolita e un po’ inquietante, ma narrata con delicatezza e sensibilità.

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“Iona” di Scott Graham

Scott Graham. Conosciamo già questo nome, perché nel 2010 ha partecipato al Torino Film festival con Shell, film con il quale ha vinto il premio per il miglior film.

In questa edizione del Festival si presenta con Iona, un film che non si discosta molto dal primo, soprattutto in virtù del tema del conflitto famigliare, argomento che sembra stare molto a cuore al regista. Graham ha dichiarato che il suo obiettivo è quello di realizzare una trilogia di cui Iona è il secondo capitolo.

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“Lamb” di Ross Partridge – Conferenza Stampa

Giovedì 26 Novembre sono stati accolti in Conferenza stampa Ross Partridge e Jennifer Lafleur, regista e produttrice del film Lamb, presentato nella sezione Festa Mobile del 33° Torino Film Festival.

Ross e Lafleur hanno innanzitutto parlato della difficoltà di trovare finanziamenti per un film così particolare e con un tema così difficile. Ross Partridge, che è anche l’attore protagonista, afferma che si tratta di una piccola produzione indipendente frutto del lavoro di un solo gruppo di produttori, tra i quali figura Jennifer Lafleur.

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ARTRUM, un dialogo tra arte e cinema

La sezione ONDE – ARTRUM, nasce all’interno della rassegna della 33º edizione del TFF curata dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, centro per l’arte contemporanea sempre  attento alla contaminazione fra le diverse realtà artistiche, in collaborazione con Anna Lenna Films, produttrice di film d’arte da più di quindici anni. La rassegna comprende sei film che segnano un percorso sul laceramento dello spazio e del corpo, e attraverso un circuito di carattere ritmico, impongono allo spettatore un crescendum di forze visive e sonore.

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“The Hallow” di Corin Hardy – Conferenza stampa

Il regista inglese Corin Hardy informa il pubblico che “the hallow” è il  corvo  nella cultura folklorica delle favole irlandesi in cui compaiono fate, elfi e spiriti.  Hardy è un grande estimatore degli horror anni ’70-’80: non è un caso che si presenti alla Conferenza stampa con una maglietta su cui appare scritto SUSPIRIA, chiaro riferimento al film di Dario Argento, da cui afferma di sentirsi influenzato dal punto di vista visivo.

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“Hong Kong Trilogy” di Christopher Doyle

Nonostante il titolo impegnativo, Hong Kong Trilogy di Christopher Doyle è un unico film, e nemmeno particolarmente lungo. Un documentario dedicato dal noto Direttore della fotografia australiano alla sua amata patria d’adozione. Dopo avere lavorato con registi di tutto il mondo, tra cui Wong kar-wai (quasi l’intera filmografia), Gus Van Sant, M. Night Shyamalan e Neil Jordan, Doyle si lancia nella picaresca impresa di raccontare la città cinese da un punto di vista completamente diverso dal solito e in completa autonomia.

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“Tragica alba a Dongo” di Vittorio Crucillà

Difficile situare quest’opera in una delle due categorie che, secondo Luigi Freddi, il Duce aveva elaborato riguardo la settima arte («I film si suddividono tra quelli di cui il pubblico si chiede come finiranno e quelli di cui lo stesso pubblico si chiede quando finiranno»). Per quanto riguarda Tragica alba a Dongo il pubblico si è invece chiesto quando l’avrebbe mai potuto vedere.

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“Comoara” (“Treasure”) di Corneliu Porumboiu

Comoara (“tesoro” in rumeno) è il fulcro di questa vicenda quasi fiabesca. Siamo in Romania, un padre racconta la favola di Robin Hood al suo bambino, ma viene interrotto dal vicino che gli chiede in prestito del denaro, è pieno di debiti e stanno per espropriargli la casa. Entrambi però sono nelle stesse condizioni, anche il padre riesce a malapena ad arrivare a fine mese.

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“Just Jim” di Craig Roberts

Craig Roberts è nato nel 1991 ed ha appena diretto il suo primo film, Just Jim, presentato nella sezione Festa Mobile del TFF33. Pare che per problemi di budget abbia deciso di affidare a sé stesso il ruolo del protagonista (ottima scelta, perché come diciassettenne triste funziona a meraviglia). Ma non finisce qui: Roberts ha anche scritto la sceneggiatura.

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“Ritorno a Spoon River” di Francesco Conversano e Nene Grignaffini

Francesco Conversano e Nene Grignaffini dedicano un film all’Antologia di Spoon River per celebrare i cent’anni dalla pubblicazione della celeberrima raccolta di poesie di Edgar Lee Masters. Il film è girato a Lewiston e Petersburg, nell’Illinois, dove gli abitanti di quei luoghi rileggono il testo immersi nei loro ambienti familiari. Il film ha un ritmo lento, anche troppo a volte, ma l’idea è sicuramente ottima. In 104 minuti di viaggio attraversiamo cittadine che raccontano l’America di provincia e le vite delle persone che le abitano.

Ognuno dei personaggi che rilegge gli epitaffi si immedesima nei protagonisti del libro, come se questo parlasse anche delle loro vite.

“All, all are sleeping on the hill”. Il tempo è fermo, si passa di casa in casa a sentire le persone che raccontano la loro storia. L’impressione è che gli abitanti di queste due città d’America siano adagiati nelle loro vite e bloccati come i personaggi di Spoon River. Come è ben noto, la vita nell’America di periferia non è affatto facile e divertente e questa storia è un esempio di cosa significhi vivere isolati e quasi imprigionati in città anche grandi, ma vuote e poco stimolanti.

Una delle  abitanti di Lewiston rilegge uno dei versi frasi più emozionanti dell’Antologia: “It takes life to love life”, per dire che serve un certo spirito per amare la vita, pur vivendo lì.

Il testo di Lee Masters è stato scritto nel 1915 e ancora oggi è attuale. George Gray diceva: “Eppure avevo fame di un significato nella vita”, e penso che questo sia un pensiero comune a tutti noi così come ai personaggi del film.

 

“Ya tayr el tayer” (“The Idol”) di Hany Abu-Assad

Nel programma del TFF alle sinossi dei film sono ovviamente affiancate la durata, il regista e i luoghi di produzione. Quando mi sono soffermato su Ya tayr el tayer (The Idol), prima ancora di leggerne la breve trama, ho visto che Paesi produttori del film sono UK, Qatar, Olanda e Palestina. Quindi si tratta, pensai, di una produzione multinazionale e tra gli Stati coinvolti figura uno tra i luoghi più martoriati della Terra. L’aspettativa era quindi relativamente triste: guerra, sofferenza e soprusi. Continuando a leggere ho intuito che la storia poteva avere dei risvolti originali quando, accanto al nome del protagonista Mohammed Assaf, ho notato le parole “vittoria” e “Arab Idol”.

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“Just Jim” di Craig Roberts – Conferenza stampa

Quello di Craig Roberts, classe 1991, è un esordio tutto da lodare. Nella sua “strana commedia”, Just Jim, ricopre contemporaneamente i ruoli di sceneggiatore, regista e attore. Quando in conferenza stampa gli si fa notare che oltre a stare benissimo dietro la macchina da presa ha anche la stoffa dell’attore comico, lui inevitabilmente risponde con una battuta: “Non sono uno smodato egocentrico, davvero. È stata una semplice questione di budget: giravamo con pochissimi soldi e, sapete, bisogna sempre portarne a casa il più possibile.”

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Return to Spoon River by Francesco Conversano and Nene Grignaffini

Article by: Giulia Conte

Translation by: Lorenzo Matarazzo

Nene Grignaffini and Francesco Conversano dedicate a film to the Spoon River Anthology to celebrate the hundred years from the publishing of the famous poetry collection by Edgar Lee Masters. The movie was shot in Lewiston and Petersburg, Illinois, where the current inhabitants of those places read the compositions in their houses’ rooms. Slow pace, even too much sometimes, but a particular idea for sure. 104 minutes of traveling through small towns which tell the tale of the provincial America and the lives of those who live there.

All of the characters who read one of the epitaphs, identify themselves with one of the protagonists from the book, as if the latter were speaking of their lives too.

“All, all, are sleeping on the hill.”

Time is still, and the film moves from house to house, listening to the story of everyone. The feeling is that the inhabitants of the two cities are lazily living their lives, stuck like the Spoon River characters, who, and here lies the difference, were dead. As it is well known, life in suburban America can be many things, except easy and fun. This narration is a clear example of what means living isolated and almost imprisoned in cities, which might be big under the aspect of territorial extension but empty and not interesting on a cultural level.

One of the Lewiston citizens reads one the most touching sentences from the Anthology:

“It takes life to love life”

This to say that a certain kind of spirit is needed to love life, despite living there.

The Spoon River Anthology is a work written in 1915, which is still very contemporary today: George Gray said:

Yet all the while I hungered for meaning in my life.”

And I think that this is a very common thought, shared by anyone of us, just like it is by the characters of the movie.

The work of Grignaffini and Conversano is entirely focused on this aspect, i.e. passing on the hunger for life and the willingness of persons to tell themselves, in order to give life to an film that, although not easy in its comprehension, is moving and makes one think.

“Il giorno dei Trifidi” (“The Day of the Triffids”) di Steve Sekely

È un letale spettacolo pirotecnico quello che illumina il cielo londinese durante una notte misteriosa: centinaia di meteoriti colpiscono la Terra producendo lampi che accecano chiunque si soffermi a guardarli e liberando una micidiale specie arborea. Ha inizio il giorno dei Trifidi, enormi piante carnivore dotate di capacità locomotorie: sono intelligenti, velenosi, affamati e decisamente poco adatti ad ornare un elegante giardino all’inglese.

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The Hallow by Corin Hardy

Article by: Luca Richiardi

Translation by: Kim Turconi

How do a young and loving couple react to the unknown?
The most primordial and essential life events can have serious effects on us, when they are experienced firsthand. The unknown is hidden behind the birth of a child, in the way in which such event changes the perception of the relationship between parents; the unknown can be found in tales and myths, among the folklore that is (or was) transmitted to children.
The Hallow, first feature film of the young British author Corin Hardy, deals with ambiguities and the unknown. The film initially titled “The Woods”, was premiered at the Sundance Festival, where it has been noticed for its qualities.
The Hallow is without any doubt a horror; it proudly represents the genre with all the trimmings and many clichés that are so appreciated by horror fans. We see a little family, happy to start their life together in their new isolated home surrounded by a lively, dark, dangerous forest. There is nothing wrong with using and abusing of such commonplaces, when it is done skillfully. This is what good films do, and they manage to do it in a stimulating and pleasant way.

Good films put the audience at ease by presenting a familiar atmosphere: a relaxed audience can be carried in different directions – even new directions – as long as the film itself is able to respect the audience. This is the case of The Hallow.

As he said himself during the press conference, Corin Hardy is a big fan of horror, especially of the golden age of Italian horror: the ’70s and ’80s variety of Dario Argento and Lucio Fulci – as evidenced by Corin’s shirt of Suspiria, worn with pride.
Hardy is well aware of what it needs to make a good horror film, and he shows great respect for his role models.
The Hallow is born from the legends of European folklore – Irish folklore in particular – and, for this reason, the film is set in Ireland itself. Hardy gathered together changelings, fairies, sylvan monsters, traditional creatures and he reshaped them with his own hands. He also showed to us some preliminary but beautiful sketches of the creatures design.
The Hallow is the result of measured quotations scattered throughout the film, good narrative choices that keep the tension high by playing on ambiguous situations, believable performances from the actors, great soundtrack and the light – almost invisible – hand of the director.

A horror film not to be taken lightly: it will scare, confuse and entertain you, and it will make you desire to watch another Corin Hardy’s film again.

“The Hallow” di Corin Hardy

Come reagisce una coppia giovane e innamorata di fronte all’ignoto?

Le cose più antiche e fondamentali dell’esistenza, quando vissute in prima persona, possono avere su di noi effetti terrificanti. L’ignoto si nasconde nella nascita di un figlio, nel modo in cui questo evento modifica la percezione del rapporto di coppia tra i genitori; l’ignoto si trova nelle leggende, nel folklore, nelle fiabe che si raccontano (o si raccontavano) ai bambini.

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“Evolution” di Lucille Hadzihalilovic

La visione del film turba e scuote; questa è l’unica certezza che ci concede l’opera seconda di Lucille Hadzihalilovic, regista francese timida d’indole ma dotata di una voce spiazzante e ardita, la quale ci presenta un film duro e coinvolgente, a dieci anni da Innocence, il suo lungometraggio d’esordio.

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Il blog delle studentesse e degli studenti del Dams/Cam di Torino