Archivi tag: Animazione

“WHITE PLASTIC SKY” DI TIBOR BÁNÓCZKI E SAROLTA SZABÓ

Il mondo tra cento anni. Nella Budapest del 2123 le persone sono costrette a donare il proprio corpo per il bene comune. La crisi ambientale ha infatti devastato il pianeta, ormai ridotto a una distesa arida su cui non cresce più nulla. Per questo motivo viene progettato un seme che, una volta impiantato, può trasformare l’essere umano in albero. Per la sopravvivenza dell’umanità, chiunque compia cinquant’anni deve subire questo processo.

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“ROBOT DREAMS” BY PABLO BERGER

Article by Angela Borraccio 

Translation by Rebecca Lorusso

The Spanish director Pablo Berger and the Arcadia Motion Pictures renew their collaboration to create their first 2D animated film. As with the previous Blancanieves (“Snow White”, 2012) – a black and white silent film – the director feels the need to reconnect with the essence of early 20th century cinema. For Robot Dreams he also looks back to the past, specifically to traditional animation, fascinated by its unlimited possibilities of storytelling and representation. Berger succeeds in tackling the challenge of the step-by-step technique – or, frame by frame – with ease, thanks to the habit of creating storyboards, which allowed him to integrate an ideal process for the development of animation. 

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“ROBOT DREAMS” DI PABLO BERGER

Il regista spagnolo Pablo Berger e l’Arcadia Motion Pictures rinnovano la collaborazione per creare il loro primo film in animazione 2D. Come per il precedente Blancanieves (2012) – muto e in bianco e nero – il regista sente il bisogno di ricongiungersi con l’essenza del cinema dei primi decenni del Novecento. Anche per Robot Dreams volge uno sguardo al passato, nello specifico all’animazione tradizionale, affascinato dalle sue illimitate possibilità di narrazione e rappresentazione. Berger riesce ad affrontare la sfida della tecnica a passo uno (frame by frame) con semplicità, grazie all’abitudine di creare gli storyboard che gli ha permesso di assimilare un processo ideale per lo sviluppo dell’animazione.

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“PELIKAN BLUE” BY LÁSZLÓ CSÁKI

Article by Marco Di Pasquale

Translation by Carolina Criscuolo

It’s tough to picture what thousands of young people must have felt when, after years under the regime, they suddenly had the chance to cross their country’s borders and freely explore cities like London, Paris, Rome, Madrid, or Amsterdam. It’s not surprising that László Csáki wanted to create an animated documentary to leverage drawing possibilities and convey the feelings of an entire generation in Hungary during the 1990s, following the breakup of the People’s Republic and the Soviet Union.

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“PELIKAN BLUE” DI LÁSZLÓ CSÁKI

È difficile immaginare cosa possano aver provato migliaia di giovani che, dopo aver vissuto per anni sotto regime, un giorno, improvvisamente, hanno avuto la possibilità di varcare i confini del loro Paese e vedere liberamente Londra, Parigi, Roma, Madrid o Amsterdam. Non stupisce quindi che László Csáki abbia voluto fare un documentario in animazione per sfruttare le possibilità del disegno e trasmettere le sensazioni e le emozioni che un’intera generazione ha vissuto in Ungheria negli anni Novanta a seguito del disfacimento della Repubblica Popolare e dell’Unione Sovietica.

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“MANODOPERA – INTERDIT AUX CHIENS ET AUX ITALIENS” BY ALAIN UGHETTO 

Article by: Emidio Sciamanna 

Translated by: Maria Bellantoni

Memories of a distant past that gradually fades in time often remain linked to an ideal world reworked by our minds to preserve emotions, sensations, fleeting instants of our existence in which we have, even for an instant, savoured flashes of true happiness. Manodopera recounts the world evoked by the sweet and nostalgic words of a grandmother, restoring the memory of a bygone era, made up of sacrifices and carefreeness, suffering and love.

The location, recreated in stop-motion, is a small mountain village at the foot of Monviso. It is called Borgata Ughettera and recalls the director Alain Ughetto’s Piedmontese origins. The film comes to life through the words of Cesira, his grandmother, who thinks back to her youth towards the end of the 19th century. Starting from some fundamental events, she thus gives rise to a reality suspended in time that is emphasised by the fragile malleability of the plasticine with which the characters are made of.

Between cardboard houses and bizarre broccoli trees, the objects somehow represent an indispensable aspect of the story; tangible elements whose purpose is to bring the sweetness of a memory closer to the purity of nature. The simplicity of the poor peasant world, the meeting with her future husband Luigi, the difficult periods of war and the need to emigrate to France in order to work and survive: these are the episodes that characterise Cesira’s past and that she describes to her nephew, in a surreal and poetic exchange between the animated universe and the real presence of the director on stage.

What Ughetto wanted to tell is not only the story of his origins, but also the story of all immigrants, wherever they come from in the world. A story of hard work, of adaptation, of gazes that lacerate the soul and leave irremediable wounds. This is why certain stereotypes in the film take on a different meaning, as if they were the images perceived by those who feel invaded and – not knowing other cultures and not understanding the languages spoken by migrants – judge those from other countries as inferior. As the original title makes clear: “forbidden to dogs and Italians”, a dramatic situation that our families have had to live with in the past and that is being played out again today, this time through the eyes of the viewer.

“MANODOPERA – INTERDIT AUX CHIENS ET AUX ITALIENS” DI ALAIN UGHETTO

I ricordi di un passato lontano che progressivamente svanisce nel tempo rimangono spesso legati a un mondo ideale rielaborato dalla nostra mente per preservare emozioni, sensazioni, fugaci istanti della nostra esistenza in cui abbiamo, anche solo per un istante, assaporato sprazzi di vera felicità. Manodopera racconta il mondo rievocato dalle dolci e nostalgiche parole di una nonna, restituendo la memoria di un’epoca passata, costituita tra sacrifici e spensieratezza, sofferenza e amore.

Il luogo, ricreato in stop motion, è un piccolo paesino di montagna situato ai piedi del Monviso che prende il nome di Borgata Ughettera e richiama le origini piemontesi del regista Alain Ughetto. Il film prende vita attraverso le parole di Cesira, sua nonna, che ripensa alla sua gioventù verso la fine del diciannovesimo secolo. Partendo da alcuni fondamentali avvenimenti, dà così origine a una realtà sospesa nel tempo che la fragile malleabilità della plastilina con la quale sono realizzati i personaggi enfatizza.

Tra case di cartone e bizzarri alberi di broccoli, gli oggetti utilizzati rappresentano in qualche modo un aspetto indispensabile per la storia; elementi tangibili, il cui scopo è quello di avvicinare la dolcezza di un ricordo alla purezza della natura. La semplicità del povero mondo contadino, l’incontro con il futuro marito Luigi, i difficili periodi di guerra e la necessità di emigrare in Francia per poter lavorare e sopravvivere: sono gli episodi che caratterizzano il passato di Cesira e che lei stessa descrive al nipote, in un surreale e poetico scambio tra l’universo animato e la presenza reale del regista sulla scena.

Ciò che Ughetto voleva raccontare non è soltanto la storia delle sue origini, ma anche quella di tutti gli immigrati, da qualsiasi parte del mondo essi provengano. Una storia fatta di fatica, di adattamento, di sguardi che lacerano l’anima e lasciano ferite insanabili. Per questo, alcuni stereotipi presenti nel film assumono un significato diverso, come se fossero le immagini percepite da chi si sente invaso e – non conoscendo le altre culture e non capendo le lingue parlate dai migranti – giudica inferiore chi viene da altri paesi. Come il titolo originale ben evidenzia: “vietato ai cani e agli italiani”, una situazione drammatica in cui in passato le nostre famiglie hanno dovuto convivere e che oggigiorno si ripropone nuovamente, rendendoci stavolta partecipi attraverso gli occhi di chi osserva.

Emidio Sciamanna

“SILVER BIRD AND RAINBOW FISH” BY LEI LEI

Article by: Marco di Pasquale

Translated by: Noemi Zoppellaro

In recent years, documentary cinema has exploited animation for intimate and personal narratives capable of giving a fresh insight into complex historical events. Films such as Waltz with Bashir (Ari Folman, 2008) or Samouni Road (Stefano Savona, 2018) discussed with a microscopic look events of enormous magnitude in an attempt to understand their profound nature. Through the memories of both his grandfather and father animated in stop motion, director Lei Lei retraces the difficult years of his family, divided by the Cultural Revolution in Maoist China.

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The structure of Silver Bird and Rainbow Fish effectively reflects the fragmented nature of historical memory. The animation, indeed, consists of hand-moulded plasticine, newspaper pages, old photographs and illustrations from the propaganda of the time, combined in a collage of different styles and languages. The images generated from this mixture are not just an artistic re-elaboration of what is narrated off-screen. The voices of the relatives interviewed by the director often linger, take long pauses or are interrupted as the memories become less clear. It is precisely in these moments of emptiness, of repressed memory, that the animation shows its evocative power, transcending the historical narrative through references to Chinese fantastic imagery and mythology.

Like the images, the narration is structured on several levels as well, in a temporal collage covering almost thirty years of History, through the voices and points of view of three generations: the director’s, his father’s, and his grandfather’s, interviewed ten years earlier. These overlapping temporal planes correspond to the various materials used in the documentary. If the plasticine moulded by Lei Lei’s hands represents contemporaneity and his imaginative, ironic and changing point of view, the photographs and newspaper clippings are the faded remains of a vanished world.

Throughout the film the author reminds us several times, in a variety of ways, that what we are seeing is but one of the endless possible visions of what happened, filtered by the experiences of the various members of the family and the director himself, who imagined the events with his artistic sensibility and a contemporary eye. It’s impossible to restore a complete image of the past, but it is for this very reason that small stories like that of the Lei family are so important and worthy of being told.

“SILVER BIRD AND RAINBOW FISH” DI LEI LEI

Il cinema documentario negli ultimi anni ha sfruttato l’animazione per narrazioni intime e personali che restituissero una visione nuova su eventi storici complessi. Film come Valzer con Bashir (Ari Folman, 2008) o La strada dei Samouni (Stefano Savona, 2018) affrontavano con uno sguardo microscopico fatti di enorme portata per cercare di comprenderne la natura profonda. Il regista Lei Lei, attraverso le memorie del nonno e del padre animate in stop motion, ripercorre i difficili anni della sua famiglia, divisa dalla Rivoluzione culturale nella Cina maoista.

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La struttura di Silver Bird and Rainbow Fish rispecchia efficacemente la natura frammentata della memoria storica. L’animazione, infatti, è costituita da plastilina modellata a mano, pagine di giornale, vecchie fotografie e illustrazioni della propaganda del tempo, unite in un collage di stili e linguaggi diversi. Le immagini generate da questo miscuglio non sono solo una rielaborazione artistica di ciò che viene raccontato fuori campo. Le voci dei parenti intervistati dal regista spesso indugiano, fanno delle lunghe pause o si interrompono perché i ricordi si fanno meno nitidi. È proprio in questi momenti di vuoto, di memoria rimossa, che l’animazione dimostra la sua potenza evocativa, trascendendo il racconto storico attraverso riferimenti all’immaginario fantastico e alla mitologia cinesi.

Come le immagini, anche la narrazione si struttura su più livelli, in un collage temporale che copre quasi trent’anni di Storia, attraverso le voci e i punti di vista di tre generazioni: quella del regista, del padre e del nonno, intervistato dieci anni prima. A questi piani temporali sovrapposti corrispondono i vari materiali utilizzati nel documentario. Se la plastilina modellata dalle mani di Lei Lei rappresenta la contemporaneità e il suo punto di vista fantasioso, ironico e mutevole, le fotografie e i ritagli di giornale sono i residui sbiaditi di un mondo scomparso.

Durante il film l’autore ci ricorda più volte, e in diversi modi, che ciò che stiamo vedendo non è che una delle infinite e possibili visioni dei fatti accaduti, filtrata dalle esperienze dei vari componenti della famiglia e dal regista stesso, che ha immaginato le vicende con la sua sensibilità artistica e un occhio contemporaneo. Restituire un’immagine compiuta del passato è impossibile, ma è proprio per questo motivo che piccole storie come quella della famiglia Lei sono così importanti e degne di essere raccontate.

Marco Di Pasquale

“LA TRAVERSÉE” DI FLORENCE MIAILHE

Evanescente e al contempo materico, l’universo espressivo a cui l’animatrice Florence Miailhe dà forma con La traversée riesce a coniugare atmosfera fiabesca e crudo realismo, restituendo con estrema evidenza la forza di una storia universale, archetipica, quella di chi è costretto ad abbandonare la propria terra e, esule, si barcamena per arrivare altrove.

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“SOUL” DI PETE DOCTER, KEMP POWERS

New York. Joe Gardner è un insoddisfatto professore liceale di musica che coltiva il sogno di suonare il pianoforte in un complesso jazz. L’occasione di realizzarlo gli si presenta quando uno dei suoi ex studenti gli propone di sostituire il pianista del quartetto in cui suona come batterista, uno dei più famosi della scena newyorchese. Eccitato, Joe accetta la proposta, e grazie a un provino particolarmente efficace riesce a ottenere un ingaggio per quella sera stessa.

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“5 CM AL SECONDO” DI MAKOTO SHINKAI

5 cm al secondo è un film del regista giapponese Makoto Shinkai, conosciuto dal grande pubblico italiano a partire dal 2016, quando le sale accolsero con grandi riscontri di partecipazione, il suo film più famoso, Your Name.
5 cm al secondo, del 2007, è stato comunque una delle prime opere del regista a destare una reale attenzione a livello nazionale (in Giappone) e internazionale poiché, pur eludendo alcuni aspetti pop di Your Name, rivela una maturità registica, nonché di scrittura, che lo rendono dei suoi film più belli.

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“MIRAI” DI MAMORU HOSODA

Mamoru Hosoda, regista di successo nell’odierno panorama del cinema di animazione giapponese, con il suo ultimo lavoro intitolato Mirai ci porta alla scoperta di una vicenda quotidiana e familiare: un film che ruota attorno alle vicende di un bambino alle prese con la nuova sorellina, il cui nome dà titolo e significato al film.

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“Seder-masochism” di Nina Paley

Nina Paley è un’attivista politica statunitense, femminista e di origine ebraiche: tutti aspetti che confluiscono in Seder-Masochism, opera semi-autobiografica in cui la regista affronta, sotto forma di musical, eventi tratti dal Libro dell’Esodo.

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