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“SHE SAID” BY MARIA SCHRADER

Written by: Yulia Neproshina

Translated by: Rebecca Arturo

The unbearable weight of manipulative ambiguity, unfounded guilt, and complicit silences. Maria Schrader’s new film, out of the competition at the 40th edition of the Torino Film Festival, is a protest against Harvey Weinstein that unleashes the desire to cry out that women have been deprived of for so long, and thereby redeems the right to their voice.

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A young woman at the very start of her career, her soul bursting with dreams and her eyes full of naive hope, is overcome by a request as unexpected as it is inappropriate just when she was planning to attend a business meeting. “He ripped out my voice that day, just as I was starting to find it,” discloses Laura Madden, confessing her years-long belief that she was the only one who did not have the strength to stand up to the harassment from the powerful and feared Miramax producer. Laura was far from alone, but her persecutor was for a long time protected by a well-established system that systematically and scrupulously shielded the offenders. New York Times’ reporters Megan Twohey (Carey Mulligan) and Jodi Kantor (Zoe Zakan) undertook an investigative enquiry to expose the harassment and sexual abuse committed by Weinstein, who had crossed not only professional boundaries, but also national borders, committing countless abuses overseas. 

The She Said crew is well aware that they are telling a true story and do not allow room for unnecessary violence, to which women are already abundantly exposed.

Weinstein’s towering physical presence is rendered by the oral testimonies of women who describe episodes in which he holds the unmistakable authority of the perpetrator. At the same time, his voice is emblematic, as we hear it in voice over, as violent and arrogant as the suffocating agreements he induced his victims to sign, ‘legally’ depriving them of their dignity. We retrace, guided by these testimonies, the spaces from which they would have so much wanted to escape, as in a nightmare from which they were not allowed to awaken. This film, however, also wants to be a safe space for all the women involved in order to express themselves and share their grief and anger. First and foremost, Megan and Jodi, that we follow far beyond the investigative processes and that Maria Schrader reveals to us with great sensitivity and respect. The cooperation and supervision of those directly involved and their permission to enter into each other’s private lives were undoubtedly essential to achieve the goal of producing a film that resonates strongly and encourages women to trust each other.

“SHE SAID” DI MARIA SCHRADER

Il peso insostenibile dell’ambiguità manipolatoria, della colpevolizzazione infondata, dei silenzi complici. Il nuovo lungometraggio di Maria Schrader, fuori concorso alla quarantesima edizione del Torino Film Festival, è una denuncia contro Harvey Weinstein che sprigiona il desiderio di gridare di cui le donne sono state tanto a lungo private, riscattando così il diritto alla loro voce.

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Una giovane donna all’alba della propria carriera, con l’animo che pullula di sogni e gli occhi colmi di ingenua speranza, viene travolta da una richiesta tanto inattesa quanto inopportuna proprio quando pensava di partecipare a un incontro di lavoro. “Mi strappò via la mia voce quel giorno, proprio mentre stavo iniziando a trovarla”, rivela Laura Madden, confessando la convinzione che ebbe per anni di essere stata la sola a non aver avuto la forza di opporsi alle molestie dal potente quanto temuto produttore della Miramax. Laura era tutt’altro che sola, ma il suo persecutore è stato per lungo tempo tutelato da un consolidato sistema che proteggeva sistematicamente e scrupolosamente i molestatori. Le giornaliste del “New York Times” Megan Twohey (Carey Mulligan) e Jodi Kantor (Zoe Zakan) intrapresero un’inchiesta investigativa per portare alla luce le molestie e gli abusi sessuali commessi da Weinstein, che aveva oltrepassato i limiti non solo delle relazioni professionali, ma anche i confini nazionali, compiendo innumerevoli soprusi anche oltreoceano. 

L’équipe di She Said è consapevole di raccontare una storia vera e non lascia spazio alla violenza gratuita, alla quale le donne sono già abbondantemente esposte. L’imponente presenza fisica di Weinstein è restituita dalle testimonianze orali delle donne che descrivono gli episodi nei quali è lui a detenere l’inequivocabile agency di carnefice. Emblematica, al contempo, è invece la sua voce, che sentiamo in voice over, violenta e prepotente quanto i soffocanti accordi che indusse le sue vittime a firmare, privandole “legalmente” della loro dignità. Ripercorriamo, guidati da queste testimonianze, gli spazi da cui avrebbero tanto voluto fuggire, come in un incubo dal quale non era loro concesso di risvegliarsi. Questo film, tuttavia, vuole essere altresì uno spazio sicuro per tutte le donne coinvolte per esprimersi e condividere la propria sofferenza e rabbia. Prime tra tutte Megan e Jodi, che seguiamo ben oltre i processi investigativi e che Maria Schrader ci rivela con grande sensibilità e rispetto. La collaborazione e supervisione delle dirette interessate e la loro concessione a entrare nelle rispettive vite private sono state senz’altro indispensabili per raggiungere l’obiettivo di realizzare un film di forte risonanza e che incoraggi le donne a fidarsi le une delle altre.

Yulia Neproshina

SOUNDFRAMES: I GRANDI SCHERMI DELLA MOLE

I due grandi schermi collocati nell’Aula del Tempio alla Mole Antonelliana accolgono con le loro immagini i visitatori e li invitano ad accomodarsi sulle rosse chaise longue da cui si espande il suono p di quelle stesse immagini. Dal 26 gennaio 2018, in occasione della mostra Soundframes –cinema e musica in mostra, questi grandi schermi sono dedicati uno ai Leitmotiv e l’altro alle interpretazioni di brani nel cinema perlopiù contemporaneo.

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“WILDLIFE” BY PAUL DANO

Article by: Giorgia Bertino

Translation by: Cecilia Facchin

Some people may remember him as the quiet and peevish guy hidden by his long black hair in Little Miss Sunshine, or as a writer on the verge of a crisis who falls in love with one of his characters in Ruby Sparks; for all the film-lovers, he is also an actor pushed down by the weight of a career born and dead in blockbusters in Youth, and, for the most curious ones, he is the best friend of a zombie with superpowers in the eccentric Swiss Army Man. It goes without saying: Paul Dano acted in many movies, working with directors such as Paul Thomas Anderson, Ang Lee, Steve McQueen, Paolo Sorrentino and Denis Villeneuve. It is important to keep that in mind if you are watching the first film directed by this 34-year-old man, who decided to take on the challenge of filmmaking after many years of acting at high levels.

Wildlife – one of the nominees for the TFF36 contest – tells the slow and transparent story of the implosion of a family which moves to Montana.

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“WILDLIFE” di PAUL DANO

C’è chi se lo ricorda silenzioso e imbronciato, nascosto dietro un folto ciuffo di capelli neri in Little Miss Sunshine, o nei panni di uno scrittore in crisi che s’innamora di uno dei suoi personaggi in Ruby Sparks; per i più cinefili, è anche un attore soffocato dal peso di una carriera nata e finita nei blockbuster in Youth – La giovinezza e, per i più curiosi, il migliore amico di un cadavere con i super poteri nell’eccentrico Swiss Army Man. Insomma, di film Paul Dano ne ha fatti parecchi, lavorando con registi del calibro di Paul Thomas Anderson, Ang Lee, Steve McQueen, Paolo Sorrentino, Denis Villeneuve. Ed è importante tenerne conto se si ha davanti l’opera prima di un trentaquattrenne che, dopo anni di recitazione di un certo livello, decide di misurarsi con la regia.

Wildlife – in concorso al TFF36 – è il racconto lento e trasparente dell’implosione di una famiglia americana trasferitasi in Montana.

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